I forzati della promozione di massa

C’è una storiella che merita di essere raccontata. A Crotone nel 530 a.C. fu fondata da Pitagora una scuola frequentata da 300 allievi e tutti venivano promossi secondo un’organizzazione interna. Questo valeva anche per chi sgarrava le regole che disciplinavano la vita collegiale. Uno solo fu espulso dalla scuola. L’aveva combinata grossa. Un tale Ippaso reo di aver rivelato imprudentemente all’esterno l’esistenza dei numeri irrazionali. Un comportamento da cinque in condotta e quindi da espulsione. Una scuola che veniva, però, guardata con sospetto dai crotonesi. Quel fatto di essere tutti bravi e fedeli discepoli del Maestro non convinceva. Qualcosa del genere è accaduto a Paullo, una cittadina alle porte di Milano, dove ho insegnato e trascorso tanti anni della mia vita. Qui alcuni genitori richiamati dall’esito degli scrutini della locale scuola media, hanno scoperto «con rammarico» che tutti i 330 alunni si sono ritrovati promossi (cfr. Il Cittadino del 21 giugno). Uno solo non ce l’ha fatta (che l’abbia combinata grossa anche lui come Ippaso?). Di per sé una bella notizia che dovrebbe rendere felici gli insegnanti per il lavoro svolto, le famiglie per gli obiettivi raggiunti dai propri figli e la comunità civica che tanto investe nella scuola. Ma le cose non sono andate proprio così. Anzi. E’ stata proprio la promozione di massa ad aver spinto un gruppo di mamme a una decisa reazione, manifestando duramente il proprio dissenso. Come i crotonesi con Pitagora così anche alcuni paullesi hanno manifestato alla preside il proprio dissenso poiché contrari alla forzata promozione e quindi contrari al mancato riconoscimento del merito come sistema di valutazione. In sostanza certi genitori non ritengono giusto allargare la maglia della promozione anche ai ragazzi che non hanno mai dimostrato un accettabile impegno, durante l’anno scolastico, rivelando, tra l’altro, seri problemi di comportamento. Un episodio che ripropone in tutta la sua ampiezza un tema assai delicato. Promuovere tutti gli studenti indipendentemente dall’impegno profuso è un bene o si rischia di compromettere il cammino educativo? La bocciatura può rivelarsi un’occasione di crescita o viene considerata una deludente e umiliante sconfitta? E ancora. E’ proprio necessario un certo buonismo di maniera in nome del quale si tende a promuovere tutti? Bocciare significa offrire un’occasione di riscatto o è un’inutile mortificazione? Diciamo subito che il dibattito si fa acceso e controverso fino a dividere in due l’opinione dei genitori tra chi ritiene una bocciatura una necessità sullo stile del “repetita iuvant” (le cose ripetute aiutano), e chi, invece, la ritiene inutile e dannosa. Eppure se alla scuola media la percentuale di alunni bocciati è molto bassa, alle superiori l’alta percentuale di bocciature fa gridare a una ingiusta selezione. Ma talvolta sono proprio i genitori a richiedere una più equa giustizia valutativa. E allora viene spontaneo chiedersi: perché promuovere uno che non ha studiato? Perché promuovere uno che si è sempre distinto in classe come leader negativo? Personalmente sono dell’avviso che è un grosso errore mettere sullo stesso piano alunni dal rendimento e dal comportamento diversi. E poi che valore viene dato al merito? Se garantiamo un successo finale a tutti indistintamente senza distinguere chi si è impegnato da chi non sa cosa vuol dire impegnarsi, che messaggio passa? Che tutto è lecito. E’ lecito, ad esempio, pensare a un riconoscimento anche quando non ci sono le condizioni; è lecito pensare che tutto comunque è dovuto, rifiutando di ammettere l’idea che qualcosa per ottenerla bisogna pur guadagnarsela; è lecito pretendere di avere quello che per tanti altri è una speranza di ottenere. Ma limitiamoci a considerare un altro elemento. Quando si arriva a valutare l’impegno e il comportamento di un allievo, i professori analizzano diverse variabili e tra queste anche quelle socio-affettive che spesso prendono il sopravvento su quelle formative. E qui la riflessione si complica un pochino assieme al complicarsi della realtà. Non è raro, infatti, trovarsi di fronte inaspettatamente a genitori che presi da un clima di diffidenza, sfiducia e delusione cercano di controllare l’ambiente, puntando il dito proprio sulle scelte compiute dai docenti. E qui scatta la rivalsa. Se un ragazzo si comporta male in classe, non può essere che il docente abbia perso la sua autorevolezza? Se un allievo non mostra attenzione durante le lezioni, non può essere che il docente non riesca a trasmettere interesse in quello che fa? Se un allievo non porta i compiti fatti, non può essere che si ritrovi completamente solo a casa senza che nessuno lo assista nello studio? E si potrebbe continuare a cercare variabili adatte a giustificare i comportamenti di molti studenti che spesso vengono censurati. Tuttavia queste situazioni, che mettono a dura prova la professionalità docente, non giustificano la messa in discussione di chi è professionalmente chiamato a valutare. Intanto è bene precisare che promuovere o bocciare un alunno non deve mai essere considerato un principio manicheo ragion per cui chi è promosso è un bravo ragazzo che merita rispetto e attenzione mentre chi è bocciato è un cattivo soggetto che merita disinteresse o scarsa considerazione. Questo è sbagliato. Sia la promozione che la bocciatura tendono a promuovere la piena formazione della personalità di un allievo. Nel primo caso a valorizzare l’impegno profuso, nel secondo a riscoprire il senso della ripetenza (e non della bocciatura fine a se stessa) da trasmettere come esperienza pedagogica. In entrambi i casi, comunque, si tende a educare i ragazzi alla ricerca e al valore dell’autostima. Si capisce allora che un tale modo di ragionare cambia completamente la prospettiva del contenuto della riflessione. Non si esalta chi è promosso come pure non si umilia chi è bocciato. Non è un certo senso di giustizia scolastica che va ricercato, ma si impone un senso di correttezza educativa. La bocciatura non è una proposta per mortificare, ma per riscoprire il proprio valore come persona capace di riflettere e di raggiungere dei traguardi senza che questi siano condizionati dal rendimento scolastico. Perché allora promuovere ad ogni costo se la bocciatura non è né selettiva, né punitiva?

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