I dittatori sconfitti da Internet

di Nicola Paparella

Come una matassa che si snoda a partire dal 1975, quando in Portogallo fu ribaltata la dittatura di Salazar, le rivolte di questi giorni che si sviluppano attorno al Mediterraneo, pur nella specificità di ogni situazione politica, hanno in comune alcuni caratteri che, se vengono osservati con attenzione, sembrano essere le voci della storia, i messaggi che la storia c’invia perché ciascuno abbia da imparare qualcosa e abbia a capire dove portano le azioni degli uomini.

La prima nota, la più significativa, è data dalle mani nude dei rivoltosi che, nei Paesi attorno al Mediterraneo, non hanno combattuto e non combattono con il favore delle armi, bensì soltanto con la forza delle idee e con la tenacia che viene dalla forte determinazione. Se in queste rivolte ci sono stati dei morti – troppi morti, soprattutto in Libia – è perché gli uomini del potere hanno dato l’ordine di sparare sulla folla. Certamente si è trattato di una ribellione dura, tenace, caparbia, ma la folla è rimasta sempre inerme, a mani nude.

Il secondo elemento distintivo della ribellione è dato dal grave livello del disagio, dovuto al numero crescente dei poveri, alla crescita incontrollata dei prezzi, alla ingiusta distribuzione delle risorse. L’hanno chiamata la guerra del pane, la rivolta del couscous, la ribellione della fame, quasi a segnalare l’impellenza di un bisogno primario. Sono stati i poveri che hanno avvertito meglio degli altri il rapporto che c’è fra la povertà e gli squilibri sociali, fra la democrazia e il benessere dei popoli. Sono stati i poveri a capire l’inganno della propaganda, la mistificazione esercitata dal potere, il sovvertimento delle regole morali.

Ci sono poi altre due condizioni che non vanno sottovalutate. Il ruolo dell’esercito e quello della stampa.

Il tacito assenso dei militari è una nota comune. Anche il recente sconfinamento a Malta di alcuni aerei militari libici si spiega con il deciso rifiuto dei piloti a sparare sulla folla.

Nella gran parte dei casi i militari hanno solidarizzato con il popolo, perché ne hanno compreso le ragioni, perché forse ne condividevano le condizioni o, quanto meno, le avvertivano come vicine alle proprie condizioni di vita. Fra l’esercito, chiamato a dare una mano alla polizia, e i rivoltosi si è stabilita una sorta d’intesa che ha permesso, agli uni e agli altri, di far riferimento alla Patria piuttosto che al dittatore di turno, alla democrazia piuttosto che ai componenti del governo.

Quanto alla stampa, i rivoltosi non l’hanno considerata credibile, come non hanno più creduto alla radio e alla televisione, troppo schierata a favore del dittatore di turno. La stampa di regime è stata sconfitta da internet, dai blog e dai messaggini che corrono lungo i sentieri dei cellulari.

Dinanzi a questi avvenimenti, se vogliamo che la storia insegni qualcosa, converrà correggere tutto quel che c’è da correggere, prima che siano le piazze a dare una spallata. Che è cosa sempre dolorosa... e costa immensi sacrifici.

di Nicola Paparella

© RIPRODUZIONE RISERVATA