I debiti nel pallone: povero calcio

Il calcio affonda. Chi se ne accorge? Forse il Tesoro, che pure dovrebbe conoscere il rapporto calcio Pil ? Il ministero dello Sport, che va avanti nell’indolenza? Gli Organi federali, che sono gli alchimisti del piombo in oro? il Fisco, che pure avanza una barca di quattrini? Il Parlamento che solo qualche anno fa votò “nel nome del popolo italiano” il famoso d.l. “spalma-debiti”? Forse le banche e le società di calcio che delle prime gonfiano la voce “impieghi” e le “sofferenze”? Per sorte i forzati della “curva”, che chiedono “solo” quel giusto mix di oppio domenicale da nessuno combattuto perché ha un nome diverso dalla droga? Va a picco il calcio. Perché non diverte più, è corrotto, violento, non c’è accordo sulla ripartizione dei diritti tv, c’è intreccio di interessi malavitosi, perché il Tal giocatore…? Oppure perché le sue società non sanno tenere i conti in ordine e nessuno in Italia se ne preoccupa? Di interrogativi si potrebbero riempire colonne intere. Ma interrogasi senza venirne a capo non è una bella cosa, induce alla rassegnazione, all’adattamento. Il silenzio è una delle tecniche della comunicazione di chi detiene il potere. Eppure il calcio di parole (dette, urlate e scritte) ne fa scorrere un mare dal lunedì alla domenica. Soltanto che non sono mai quelle che contano, servono solo a nascondere i silenzi e coi silenzi a tener nascoste le malefatte del sistema o peggio ancora. Non a caso è sempre e solo la magistratura ordinaria a sollevare il coperchio sulle forme di criminalità di cui tutti conoscevano e nessuno diceva. Che ci sta a fare la cosiddetta giustizia sportiva, quell’ esercito di dirigenti – sempre gli stessi! – al vertice del potere del calcio? Qualcuno ricorda forse il decreto legislativo n. 231 dell’8 giugno 2001, fatto digerire a Federcalcio dai commissari di Calciopoli, che obbligavano le società alla prevenzione degli atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità sportiva? Qualcuno ricorda quell’ articolo, il 7, che imponeva alle società di assumere: “a) misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività sportiva nel rispetto della legge e dell’ordinamento sportivo, nonché a rilevare tempestivamente situazioni di rischio; b) l’adozione di un codice etico, di specifiche procedure per le fasi decisionali sia di tipo amministrativo che di tipo tecnico-sportivo, nonché di adeguati meccanismi di controllo; c) l’adozione di un incisivo sistema disciplinare interno idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello; d) la nomina di un organismo di garanzia, composto da persone di massima indipendenza e professionalità e dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, incaricato di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento”. No, nessuno lo ricorda. Ci sono voluti anni perché Federcalcio lo recepisse nei suoi ordinamenti. Dopo quattro anni dalla sua approvazione è ancora sulla carta, il Consiglio federale Figc si è dimenticato i regolamenti di applicazione. Solo le società quotate hanno dovuto obbligatoriamente mettersi in regola mentre la Lega B lo ha fatto dando però tempo alle proprie società di adeguarsi entro il prossimo 31 dicembre. E la nomina dell’Organismo di garanzia, che fine ha fatto? Perché chi avrebbe dovuto intervenire a far rispettare quel d.l., da vero trasgressore del senso comune, non si è mai fatto vivo? Questo è solo un aspetto. Ce n’è un altro, non meno preoccupante e grave di cui nessuno o pochissimi parlano ed è quello degli intrecci del mondo del calcio con il mondo del credito e della finanza. Provino, se riescono, le piccole imprese manifatturiere, artigiane o di commercio che lamentano piccoli problemi spiccioli di liquidità e di spesa corrente a ricorrere alla banca senza fornire garanzie ulteriori, senza avere tutti i conti in chiaro. “Basilea 1,2,3”, spiegherebbero loro inappuntabili impiegati da dietro gli sportelli. Con quali argomenti questi funzionari saprebbero spiegare l’apertura che rivelano i loro istituti nel facilitare l’indebitamento delle società calcistiche? Anche con bilanci fallimentari ottengono quattrini. Vuoi vedere che le banche utilizzano i soldi di quel famoso “salvataggio”, i così detti “marginali” della ricapitalizzazione decisa dal ministero dell’Economia, trovati in fretta e furia nell’ottobre 2008 per garantire la “stabilizzazione” del credito in Italia e salvarli da qualche affondamento? Acqua passata, d’accordo, ma è sempre bene non dimenticarlo. Nell’ultimo triennio l ’esposizione debitoria del calcio spa (Serie A, B e Lega Pro) nei confronti del solo sistema del credito ha registrato una performance del +47%. Da 422 milioni è schizzato a 619 milioni di euro (350 milioni sono solo quelli dei club della massima serie). Concessi per fare fronte a “spese correnti”. Inutile chiedersi quali garanzie possono essere state prodotte, sapendo tutti il contenzioso che le società hanno tutte o quasi con l’amministrazione finanziaria e che già beneficiano dello scandaloso spalma-debiti. L’esposizione verso le banche è di 170,7 milioni per il Milan di Galliani-Berlusconi, 71,3 milioni per l’Inter di Moratti, 30,1 milioni per la Juventus degli Agnelli, 11,9 milioni per la Roma di Sensi-UniCredit. Davanti a certe cifre ovvio chiedersi perché le società di calcio “possono” spendere più di quanto incassano? Il “favore popolare”, sarà la probabile risposta. Ma può il favore popolare da solo legittimare l’arroganza di quei dirigenti di calcio che indebitano le loro società giuridiche a dismisura? Come possono i manager banacari aver dimenticato che al netto di debiti tributari “consolidati” nei bilanci 2010, tra A e B per 300 milioni, il contenzioso con l’amministrazione finanziaria rischia di costare altri 100 milioni? Tanto per fare nomi: il Milan, secondo quanto calcolato dal giornale di Confindustria ha la perdita netta più elevata della massima serie: 69,7 milioni nell’esercizio 2.010, l’Inter di 69 milioni. Oggi il calcio è nella bufera per le partite falsate per favorire scommesse. Ma sullo sfondo c’è anche dell’altro, di cui nessuno o pochissimi fanno cenno, c’è un indebitamento fuori controllo del sistema. I controllori della Covisoc hanno un’apparenza distratta, la Figc chiude (come sempre) più di un occhio, la politica, si sa, su certi argomenti è generalmente svogliata, i giornali e i commentatori sportivi parlano d’altro, si eccitano solo col calcio mercato. Con quali prospettive? Che se entrassero in vigore oggi le regole volute dal presidente dell’Uefa Michel Platini, Milan, Inter e Roma verrebbero retrocesse. Altro che Champions! E pazienza! Ma quelle società votate alla sentenza di fallimento, i loro “buchi” chi pensate sarà chiamato a coprirli?

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