Negli ultimi giorni è scoppiata la polemica dei compiti a casa. Un dibattito alimentato da numerosi interventi di una certa autorevolezza visto che in campo sono scesi pedagogisti, psicologi, giornalisti, genitori e persino ministri. C’era da aspettarselo. Il tema si presta a svariate riflessioni. I pro e i contro si sono sprecati in nome del dovuto sapere e dell’inevitabile riposo. A stimolare gli interventi le imminenti vacanze pasquali che i genitori non vogliono vedersele rovinate dai figli chiamati a fare i compiti guarda caso proprio nei giorni in cui le famiglie da certi sacrifici si vogliono liberare. Del resto come intendere le vacanze se non appunto come condizioni favorevoli a liberarsi dallo stress accumulato da continue e inevitabili tensioni? Chi ha detto che i compiti a casa sono un male necessario? Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo si è dichiarato d’accordo nel «dare meno compiti a casa. Meglio farli uscire da casa per seguire un progetto organizzato dalla scuola». Tuttavia una precisazione credo vada fatta. Sono personalmente dell’avviso che i compiti a casa devono essere assegnati e fatti. Il problema, se mai, è tener presente la situazione in cui si svolge l’azione didattica. Perché un conto è insegnare alle elementari, altro è insegnare alle superiori. Se alle elementari non si deve esagerare, alle superiori si deve ponderare, ma i ragazzi devono imparare a gestire al meglio il tempo scuola fatto di lezioni in aula e di ripassi con relative esercitazioni a casa. La questione, però, merita di essere analizzata, tenendo presente alcune variabili. E’ risaputo, ad esempio, che se in classe la partecipazione è viva e interessata, altrettanto proficuo, efficace e leggero potrebbe rivelarsi l’impegno a casa con esercitazioni che potrebbero essere una passeggiata. Ma non sempre è così. Anzi il più delle volte la questione prende esattamente un’altra piega. A sottolinearlo sono proprio gli insegnanti. Innanzitutto l’interesse durante le lezioni molto spesso si lascia a desiderare. Fare lezione oggi è diventata un’impresa. La presenza in classe di un eccessivo numero di alunni, rende piuttosto problematico il grado di attenzione che si vorrebbe sempre mantenuto a un certo livello. E’ chiaro che se si tagliano risorse, cattedre, investimenti, proposte progettuali, ben difficilmente si può sperare di puntare in alto in fatto di successo scolastico che continua comunque a proseguire in modo lento e faticoso. La scuola va avanti lo stesso, incassa i colpi bassi, si industria per affrontare i problemi originati da pesanti decisioni politiche. Del resto è stato sempre detto che la scuola non è una forza produttiva, non influisce sull’aumento del PIL, non è economica. Anzi la scuola ha un costo che richiede sempre più risorse e materia prima se si vogliono creare condizioni favorevoli a una crescita sociale e formativa. Bisogna rendere efficace la permanenza degli alunni nelle aule e per garantire questo processo occorre puntare su innovative metodologie didattiche. Le ore di studio che si susseguono nella mattinata, infatti, man mano che si avvicinano le ultime ore di lezione, diventano sempre più sterili, mal seguite, sopportate, affrontate con noia, vissute tra armoniosi diversivi messi in atto da studenti stanchi e annoiati al punto da rendere problematica se non titanica l’opera della docenza. Bisogna dire anche che spesso sono proprio gli insegnanti che non riescono a rendere interessanti le lezioni svolte in classe. Alunni distratti, poco motivati, tutt’altro che partecipi, vivono ore di noia e pesantezza con un solo interesse nella testa: l’atteso suono della campanella che annuncia la fine della giornata. Via a casa a lasciarsi catturare dal computer per finalità lontane dal sapere. All’atrofizzazione della capacità di riflessione sui contenuti proposti per casa, si aggiunge la bassa motivazione alimentata dalla voglia di dedicarsi ad altro e non allo studio. Prova ne è che oggi i ragazzi studiano poco e male e talvolta non studiano affatto. L’impegno nello studio viene vissuto come un’opera di logoramento mentale a cui far fronte con ripieghi per nulla scolastici. Il rendimento ne viene sacrificato in nome della tolleranza preferita e difesa dai genitori troppo ligi a far sentire la loro voce quando si tratta di trovare una soluzione riparatrice. Quando poi si avvicinano le vacanze diventa ancora più sentito il senso del torto che si subisce nel vedersi rovinare le vacanze da compiti scolastici ritenuti eccessivi, inutili e non rispettosi delle necessità socio-famigliari. Se appena appena un docente si permette di essere più rigoroso nella valutazione, più esigente nella pretesa di un serio impegno, più inflessibile nel perdonare le mancanze quotidiane, ebbene questo docente viene subito individuato come un ostacolo nel cammino scolastico che per il proprio figlio deve sempre essere semplice, scorrevole, non impegnativo. Se poi si permette di assegnare compiti anche durante le vacanze, allora lo scontro è assicurato. Uno scontro che il più delle volte si risolve con una mossa calcolata: si richiede il cambio di classe o di scuola. I compiti in genere, specialmente quelli assegnati per le vacanze, sono considerati il più delle volte inutili se non addirittura anacronistici poiché in contrasto con il tipo di società di oggi. Una società che offre sempre meno occasioni di sacrificio e sempre più opportunità di relax. Questo vale sia che si parli di lavori manuali che di lavori mentali, sia che si abbia a che fare con gli adulti, che con gli studenti. E allora non rimane che andare alla ricerca di un nuovo modello. Un modello fatto di quantità limitata di compiti; di maggior tempo libero da lasciar gestire autonomamente a ragazzi e genitori; di proposte laboratoriali scolastiche. Occorre stare, però, attenti a non cadere in situazioni manicheiste in ragione delle quali si deve decidere se stare da una parte o dall’altra. Per fortuna c’è Quintiliano, un vero pedagogista che a proposito di intervallo e gioco nell’educazione dei fanciulli ci ricorda: «Vi sia, tuttavia, un limite alle pause perché non generino o odio verso gli studi, se negate, o abitudine all’ozio se eccessive». Come dire che i compiti vanno dati senza esagerare. “Est modus in rebus”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
 
     
             
            