I compiti a casa non dateli più

Si torna a parlare di compiti a casa. E il ministro Profumo, sollecitato da una polemica che viene dalla Francia, parla di “forme di partecipazione diverse”, di “stimoli” da offrire ai ragazzi delle scuole, “senza che siano propriamente compiti”.

Stiamo parlando dei compiti affidati dalla scuola agli studenti, perché li facciano a casa. E immaginiamo quaderni da scrivere, esercizi da fare, pagine da studiare... La polemica francese è alimentata dalla principale associazione di genitori delle scuole pubbliche che non solo ha rivolto un appello contro i compiti a casa, “inutili e ingiusti”, ma chiede a insegnanti e genitori di organizzare due settimane senza compiti e immaginare altri modi per comunicare il lavoro fatto in classe.

Stiamo parlando di bambini di scuola elementare e le tensioni nascono anche dal fatto che per molti genitori diventa sempre più difficile seguire i propri figli nel lavoro proposto dalle scuole, vuoi per motivi di tempo, vuoi per la complessità generale delle vite familiari. Secondo alcuni pareri che vengono dalla Francia non solo i benefici degli esercizi scolastici a casa non sono provati, ma i compiti sono spesso causa di litigi in famiglia. E poi rinforzerebbero le diseguaglianze, perché non tutti hanno la possibilità di essere seguiti quotidianamente dai propri familiari.

E così torna una questione che in realtà emerge periodicamente: serve o no che ai bambini vengano affidati “compiti” fuori dall’orario scolastico? Non sarebbe meglio fare tutto in classe?

Pedagogisti, psicopedagogisti, psicologi dicono le cose più diverse, tra la sottolineatura dell’asse genitori-figli che è subentrato nel tempo a quello genitori-insegnanti e la riflessione sulle capacità di organizzarsi legate allo svolgimento dei compiti a casa.

Tra le citazioni del vietato-vietare di sessantottina memoria e quelle più “moderne” delle “madri tigre” di derivazione orientale. Il ministro, che in verità non ha detto molto – e forse nemmeno gli compete dire più di tanto – riporta un dato di assoluto buon senso: la scuola di oggi è così diversa rispetto al passato e, più in generale è differente e complesso il sistema formativo/educativo, che trovare forme nuove di partecipazione, rispetto ai “classici” compiti a casa, non dovrebbe essere un problema. Insomma, pensiamoci. Senza crociate.

Al cuore della vicenda sta la capacità della scuola – e degli insegnanti – di individuare gli strumenti più adatti allo sviluppo delle capacità dei bambini. Con la gradualità che richiede l’età (le elementari, evidentemente, non sono le superiori). Per i più piccoli, se all’inizio il lavoro guidato, “accudito” nel gruppo della classe è decisivo, via via appare chiaro come diventino importanti spazi di autonomia, di lavoro individuale, cui anche i compiti a casa danno sostanza. Ma che, tuttavia, possono ritrovarsi anche all’interno delle aule, in una scuola – ecco di nuovo la sollecitazione di Profumo – che rispetto al passato ha, ad esempio, dinamiche di tempo pieno e, soprattutto, si interfaccia con famiglie e “tempi di vita” imparagonabili a quelli un po’ di anni fa.

E, allora, vale la pena di eliminare le generalizzazioni: compiti sì o compiti no. Piuttosto ridare fiducia alla scuola e ai suoi operatori, cogliere una continuità collaborativa tra scuola e famiglia, far interagire sempre più due “mondi” che non dovrebbero essere contrapposti. Anche qui, con semplicità, si gioca quella cosa tanto necessaria che si chiama alleanza educativa.

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