Se tante parole sono scomparse dal ciciarà quotidiano dei lodigiani, hanno perso significato anche molti proverbi e detti, testimonianze orali della saggezza dei nostri nonni. Non solo per la caduta in disuso delle parole ma anche per la scomparsa di oggetti, abitudini, tradizioni, mestieri. Proprio da questi ultimi vogliamo partire, ricordando lo «speziale» del detto “Spesié da via del so”. L’espressione ‘dar via del proprio’ è un ribaltamento dell’accusa: ‘quello che dici di me non può che essere dentro di te’. Lo speziale era l’antenato del farmacista (parola, quest’ultima, di conio piuttosto recente: prima metà del XIX secolo), ed anche il droghiere. Oggi la drogheria è pressoché scomparsa, sostituita dagli onnipresenti supermercati. E il farmacista, costretto a vendere prodotti inscatolati pronti all’uso, non è più lo specialista che crea nel retrobottega o di fronte al cliente stesso miscugli medicamentosi che curano tutti i mali. Fra questi mali, comunissimi erano i geloni, effetto combinato dei freddi e umidi inverni e del riscaldamento precario di un tempo. Erano caratterizzati da chiazze violacee sulla pelle che potevano trasformarsi in dolorose ulcerazioni. Con la loro scomparsa sparisce anche il proverbio: “Fiur de lin e pulver de stradon i fan guarì i gelon”. Come i fiori del lino e la polvere delle strade potessero curare i geloni ce lo spiega il prof. Caretta, nel suo volume dedicato ai proverbi lodigiani: per guarire dai geloni non restava che aspettare la bella stagione. Dai fiori alle donne il passo è breve: “A lavà i pagni ala rusa te truaré vün che te spusa”. Ora le rogge di città sono state coperte dal cemento e quelle rimaste in campagna sono state anch’esse sostituite dalla lavatrice. E per trovare l’anima gemella la rusa ha ceduto il posto ai siti internet specializzati in incontri per “cuori solitari”. Ancora la donna in primo piano nel detto “La dona da par le l’è un guindul, l’om da par lü l’è un singul”, che testimonia della cura di sé di cui sa dar prova il gentil sesso, diversamente dai maschi rimasti soli. Cosa che vale ancora oggi, pur in assenza del guindolo, o arcolaio - un tempo presente in ogni casa - un attrezzo di legno che ruotava su se stesso dipanando la matassa di filo.Un’altra presenza costante in ogni casa era la candela, poi sostituita dalle torce elettriche, e oggi dal telefonino con torcia incorporata. La candela accompagnava la donna nel proverbio “Al ciar dela candela se cumprà né dona né tela”, ossia: quando si fanno scelte importanti non basta la luce fioca della candela, bisogna “vederci chiaro”. Se l’elettricità ha invaso la casa, anche la chiesa ha dovuto cedere il passo alla modernità con le candele che sono diventate lampadine “a gettone”. E il cimitero non brilla più delle minuscole fiammelle dei tradizionali lumini di cera, ma di migliaia di piccole lampadine, decretando l’affossamento del detto “Ciarin, fiuri e coi storti i ghe fan gnent ai morti”. Lumini, fiori e colli storti (cioè gli atteggiamenti di falsa contrizione) - ci ricorda sempre il Caretta - non giovano ai defunti.
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