Grandi piccoli misteri della nostra economia

L’inflazione è sempre stata, sotto un profilo storico, la bestia nera di tutte le economie e messa sotto accusa per una serie di colpe imperdonabili. Le si imputava, in particolare, di indebolire l’apparato produttivo, vanificare gli sforzi di crescita e sviluppo messi in atto dagli Stati, affamare il popolo. Il termine significa in parole povere perdita di valore della moneta nel tempo, con la conseguenza che per comprare la stessa quantità e qualità di merci, beni e servizi bisogna pagare al fornitore un importo maggiore che nei mesi o negli anni passati. E’ evidente che il deprezzamento della moneta falcidia i redditi dei ceti meno abbienti e ne abbatte il potere di acquisto, data la ben nota difficoltà di adeguare i salari al costo reale della vita. Oggi, secondo dati dell’Istat, l’inflazione è ferma allo 0,1%, praticamente zero. Questo dato ha del miracoloso e qualche decennio fa sarebbe stato accolto con grida di giubilo da economisti, governanti e amministratori. Infatti, mantenere basso il tasso d’inflazione è sempre stato considerato un segno di virtù, equità ed efficienza, anche perché l’efficacia di meccanismi di perequazione dei salari, quali la scala mobile o altri indici del costo della vita (paniere, carrello della spesa, ecc.), è risultata quasi sempre modesta o insoddisfacente. Ora che l’inflazione è stata finalmente debellata con politiche opportune o, più verosimilmente, con l’assenza di politiche, e messa all’angolo, i governi cambiano bandiera e dichiarano che il nemico numero uno della buona amministrazione e del benessere sociale non è l’inflazione ma il suo esatto contrario, la deflazione, e che pertanto bisogna fare ogni sforzo per aumentarla almeno fino al 2%, perché al di sotto di tale soglia l’economia italiana entra in stato di crisi e anche gli Stati europei rischiano grosso. Come spiegare questo curioso e plateale voltafaccia che mina la credibilità delle istituzioni? Gli economisti non si sono affannati a spiegarlo, ma la ragione vera potrebbe essere che l’inflazione si presta meglio della deflazione a un modello di economia che si regge sulla esasperazione della competizione commerciale, sulla dilatazione dei consumi e sulla circolazione forzata di montagne di denaro a costo zero Questa economia non è sorretta da comportamenti virtuosi o dal desiderio di proteggere l’ambiente e portare benessere e uguaglianza nella società, ma unicamente da ragioni di opportunità capitalistica e finanziaria. Una prova? Si vuole la crescita a tutti costi, però la crescita non è riposta nel risparmio e nella difesa dei piccoli risparmiatori, ma nell’aumento delle richieste di mutuo. Chi crea risparmio e ricchezza con i sacrifici di una vita – impiegati, pensionati, operai – viene invece raggirato, depredato o indotto, per via di interessi bassi o addirittura negativi che erodono il capitale, a cercare investimenti alternativi che possono rivelarsi pericolosi e portare alla rovina. E quando i mutui, vale a dire i debiti delle famiglie, si impennano, non ci si cosparge il capo di cenere e non si chiede scusa agli italiani, ma si dichiara con sussiego che l’economia è finalmente guarita e sta per partire. E questo spiega forse perché la crescita, da sempre invocata, appare sempre più lontana e inafferrabile.

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