Gomorra dell’Arma, nell’inchiesta entra anche un arresto a Codogno

Nei verbali le rivelazioni di uno spacciatore diventato confidente dei carabinieri della caserma Levante

Anche un arresto per droga a Codogno negli atti dell’inchiesta che ha travolto la stazione dei carabinieri Levante di Piacenza. L’episodio, contenuto nell’ordinanza che ha portato all’arresto di 6 carabinieri (uno ai domiciliari) e altre 12 persone, è descritto dal giovane pusher marocchino che stanco di vivere sotto ricatto dei militari decide di vuotare il sacco e comincia a raccontare.

A Codogno i militari arrestano uno spacciatore dopo avergli trovato in casa 70 euro in contanti e 30 grammi di cocaina. E fin qui tutto normale. Ma è quello che emerge dalla confessione del pusher-pentito a descrivere uno spaccato dello stile Gomorra con cui l’appuntato Giuseppe Montella, per tutti Peppe, nato a Pomigliano d’Arco 37 anni fa (ha compiuto gli anni ieri in carcere, ndr) teneva i fili dello spaccio nella città emiliana traendone personale profitto.

«Ci hanno portato in caserma per finta e in quell’occasione Montella, G. S. e un altro carabiniere con i capelli rossi…, per stare al gioco e rendere credibile la situazione mi hanno anche dato uno schiaffo», riferisce lo spacciatore-pentito agli inquirenti. E prosegue: «Preciso anche che ad A. (l’arrestato, ndr) hanno trovato 70 euro in contanti e come ho detto 30 grammi di coca. I 70 euro Montella li ha dati a me davanti a tutti i suoi colleghi, e per quanto riguarda invece i 30 grammi di coca, 5 li ha dati a me, 5 a E.O.A. (anche loro spacciatori divenuti confidenti di Montella). Ho personalmente confezionato, su richiesta di Montella, 15 dosi da 0,6 grammi e di questi appunto 5 li hanno dati a me e 5 ad E.O.A.. Non so dove abbiano messo le altre 5 dosi però ricordo che sul giornale c’era scritto che avevano sequestrato 15 grammi di coca».

Un copione che si ripete identico infinite volte nella ricostruzione degli arresti pilotati grazie alle soffiate di spacciatori complici, e che portavano nelle tasche di Montella e colleghi vagonate di soldi e droga. Utilizzati per tenere al guinzaglio gli stessi “complici”.

In un barattolo che l’appuntato chiamava “la scatola della terapia” veniva messo lo stupefacente sequestrato, e quando iniziava a svuotarsi, agitandolo davanti ai pusher, chiedeva che venisse presto rimpinguato. In cambio il pentito aveva diritto al 10 per cento della droga e dei soldi sequestrati.

Un scambio ovviamente sbilanciato a favore del carabiniere e dei compagni dell’Arma, e che a ad certo punto comincia a stare stretto al giovane marocchino che decide di confessare.

In riferimento sempre al caso riferito al territorio di Codogno, aggiunge: «In quel periodo ho cominciato a farmi di coca e mi facevo schifo per cui ho diminuito le informazioni che passavo a Montella». Per l’appuntato e la banda criminale da lui diretta è l’inizio della fine.

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