Gli italiani vendono agli stranieri

Una delle più importanti banche italiane, il senese Montepaschi, ha chiesto soldi allo Stato italiano per rafforzare il proprio patrimonio (sono i cosiddetti Tremonti bond, di cui ora ne ha per tre miliardi di euro). Qualcuno ha osservato che, con molto meno, qualcuno poteva acquistare l’intero Montepaschi…

Già. La crisi economica che ormai ha tagliato il traguardo del quinto anno, porta con sé spiacevoli effetti collaterali. L’ultradepressa Borsa di Milano vede certi importanti titoli a quotazioni da saldo di fine stagione, alcuni addirittura da… liquidazione. Una valle di lacrime per chi li possiede; una vera manna per chi intende acquistarli. E non stiamo parlando del singolo risparmiatore, che ormai si tiene alla larghissima dalla Borsa italiana. Ma di investitori stranieri che possono acquistare pezzi pregiati dell’economia italiana – se non addirittura tutto il boccone – a prezzi che a volte non corrispondono nemmeno al valore degli immobili di proprietà. Nel disastrato mondo della finanza comunque brilla la stella di Unicredit, maggior banca italiana e una delle migliori in ambito internazionale. Ebbene, ogni tanto spunta un socio nuovo: uno sceicco arabo, un fondo russo dietro al quale si cela qualche importante investitore, manine tedesche che sognano di trasformare la banca italiana in Unikredit, e altri ancora. Morale della favola: la nostra migliore banca una volta guardava a Milano o a Verona, dove stavano i soci più influenti; ora al Golfo Persico o a Berlino. Non viene messa nell’elenco delle prede di altre banche, solo perché pure le altre banche mondiali hanno poco da sorridere. Ma è la preda perfetta per speculatori e per investitori che, con poco, si mettono in tasca molto potere e potenziali alti profitti. E se qualcuno mette le mani sulle leve di comando di Unicredit, da lì può dirigere quel gioiellino chiamato Mediobanca, e – a cascata – una delle migliori compagnie assicurative del mondo, Generali. È storia recente l’affarone fatto dai francesi della Besnier con l’ottimo latte della Parmalat: buona azienda soprattutto piena zeppa di liquidità. È stata pagata meno della liquidità che aveva in corpo, e che ora viene utilizzata dai francesi fuori dai nostri confini. Un preclaro esempio di masochismo economico determinato dal fatto che nessuno ha saputo o voluto contrastare le mire francesi. Le grandi aziende partecipate dallo Stato (Eni, Enel, Terna, Finmeccanica) hanno appunto lo Stato a garantire il loro interesse strategico. Ma il nostro è uno Stato che deve trovare soldi per ripagare i troppi debiti. La tentazione di (s)vendere la propria argenteria può trasformarsi da un momento all’altro in necessità. Per fortuna molte belle aziende italiane si sono tenute alla larga dalla Borsa e da possibili scalatori. Non che questa situazione sia in definitiva migliore. Può sempre arrivare ai proprietari un’offerta di quelle impossibili da rifiutare, e gli effetti della crisi economica sui conti potrebbero spingere a vendere, e morta lì. Ma c’è anche il solito problema della crescita dimensionale: abbiamo ottime aziende (nel mondo della moda, del lusso, dell’agroalimentare e della meccanica…) non così grandi da far sentire il loro peso nel mondo, magari legate alla figura dell’imprenditore carismatico, dello stilista che ci mette la faccia, di una struttura societaria non disponibile a reinvestire i proventi aziendali. Quindi la bottega Italia è aperta per shopping ai grandi investitori stranieri. Non sempre i migliori investitori possibili: c’è chi viene a smembrare per vendere poi a pezzi; chi a trasformare una bella azienda in periferia del proprio impero; chi in definitiva a trasferire oltreconfine i profitti generati qui. L’unica grande mossa di un’azienda italiana è stata quella di Fiat quando ha rilevato una derelitta Chrysler. Abbiamo capito poi che a Fiat interessava più Chrysler, che Fiat. E sempre di più la Fabbrica Italiana Automobili Torino sta trasferendo la propria anima oltreoceano, lasciando in Italia poche fabbriche malsopportate e ormai marginali. Nulla osta insomma che Audi acquisti la Ducati o che i petrodollari investano pure entro i patrii confini, se gli investitori mirano a far crescere i tasselli del sistema-Italia. Altrimenti l’Italia faccia sistema per non finire depredata e, in definitiva, impoverita.

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