Gli aspetti assurdi della sanità

La sanità lombarda è ancora su livelli di eccellenza, ma i risultati deleteri delle scelte di politica sanitaria del governo regionale si percepiscono da tempo anche a livello locale e, in assenza di inversioni di rotta, produrranno ben presto effetti devastanti. Alla base della politica sanitaria regionale, infatti, vi è il criterio economicistico non basato su strategie innovative e migliorative dell’efficienza ma su tagli indiscriminati e sulla pretesa di stabilire a priori un tetto ai bisogni sanitari dei cittadini.Quando il governatore Formigoni decanta il pareggio di bilancio della sanità lombarda “dimentica” di precisare che tale risultato non deriva da meriti gestionali bensì dal fatto che i lombardi sono i cittadini che pagano l’addizionale regionale Irpef più elevata e che le prestazioni erogate vengono sistematicamente tagliate. Ogni considerazione sulla sanità lodigiana non può prescindere da queste premesse. Le linee di indirizzo emanate qualche anno fa per il funzionamento delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) e il loro scorporo dall’Azienda Ospedaliera (A.O.), attuato contro il parere bipartisan degli amministratori locali, hanno di fatto tolto alle ASL la finalità di produrre ed erogare servizi socio-sanitari per il cittadino, trasformandole in enti di controllo della spesa delle A.O. Oltre a ridurre i servizi socio-sanitari territoriali e ad aumentare la spesa pubblica (raddoppio delle poltrone da spartire in occasione delle nomine), si è così creato il paradosso di un ente (la Regione) che nomina suoi uomini di fiducia alla direzione della A.O. e altri suoi uomini di fiducia alla direzione delle ASL per controllare gli uomini di fiducia delle AO. La separazione ASL – AO, inoltre, ha interrotto la catena assistenziale, tanto faticosamente costruita, di cui deve necessariamente fruire chi è affetto da gravi patologie se si vogliono ridurre il numero e i tempi dei ricoveri ospedalieri. Nella realtà lodigiana, fatta di tanti piccoli comuni, le ripercussioni negative sulla qualità dell’assistenza sono di quotidiano riscontro.Un altro aspetto assurdo della politica sanitaria regionale è lo stabilire vincoli precostituiti per il funzionamento delle A.O. Un’azienda, per essere tale, deve poter produrre beni o servizi e venderli sul mercato; più produce e più vende, più il fatturato dell’azienda dovrebbe crescere. In Lombardia . non funziona così perché la regione fissa a priori il numero massimo delle prestazioni ambulatoriali che vengono pagate alle A.O.: se la richiesta dei cittadini supera il limite arbitrariamente stabilito dalla regione, per le prestazioni in esubero l’A.O. non riceve alcun pagamento. L’esempio con i numeri (puramente indicativi) chiarisce meglio il concetto: se la regione stabilisce di rimborsare all’A.O. 5000 ECG all’anno e il fabbisogno dei cittadini è di 7000, le spese per i 2000 in eccesso sono a carico dell’A.O. Dal momento che tale criterio vale per tutte le prestazioni ambulatoriali e che i limiti fissati a priori dalla regione sono sempre inferiori alla richiesta, come può un’azienda raggiungere il pareggio di bilancio? Non bastasse questo, quasi sistematicamente in corso d’anno la regione riduce l’entità del rimborso riconosciuto alle A.O. per le degenze ospedaliere e tali riduzioni hanno valore retro-attivo (è successo da poco anche per il 2011): è politica sanitaria seria questa?Non sarebbe più logico risparmiare eliminando o ridimensionando le tante società create come satelliti della sanità lombarda (per l’informatizzazione, per l’edilizia, per la gestione delle apparecchiature dismesse, per la formazione manageriale, etc…) sulla cui effettiva necessità ci sarebbe molto da dire e per le quali non sarebbe male fare un’approfondita indagine degli aspetti gestionali? Il compito di dirigere le A.O. (in sostanza di far tornare i conti) è affidato ai manager. Secondo il governatore regionale la scelta è fatta valutando competenza e professionalità delle persone. Facciamo finta di crederci, anche se sappiamo che non è così e il mercanteggiare che precede le nomine e le dichiarazioni dello scorso anno dell’assessore Bresciani lo confermano. In ogni caso, perché nominare manager che vengono da altre realtà, che non conoscono e non hanno alcun legame con il nostro territorio? Con un manager lodigiano ci sarebbe il vantaggio di una conoscenza diretta delle problematiche locali e non sarebbe necessario utilizzare soldi per ristrutturare un appartamento da mettere a disposizione.Anche per quanto riguarda la valutazione dei manager, le realtà e i risultati ottenuti a livello territoriale non sono prese in considerazione, perché conta solo l’aspetto economico: chi ha saputo risparmiare viene premiato dalla regione con un punteggio elevato. Non importa se per tale risparmio si sono messi in sofferenza i reparti perché manca personale, se si ricorre sempre a personale infermieristico non strutturato (che offre una qualità decisamente inferiore), se non si provvede al ricambio delle apparecchiature, se si riducono i servizi e le prestazioni a favore dei cittadini.In aggiunta a tutto questo, il nostro territorio sconta una sorta di peccato originale. In tempi di vacche grasse, si è pensato bene di dare il contentino e soddisfare i campanilismi costruendo ospedali. Nel corso degli anni, poi, si sono impiegate enormi risorse per modificare e ristrutturare i quattro ospedali senza tener conto dei cambiamenti e delle nuove esigenze che si andavano delineando nella sanità. Da questo punto di vista, la terza ala, per la cui costruzione ci sono voluti anni (pegio del dom de Milan!), è uno scempio e un insulto alla logica architettonico-funzionale di una realtà ospedaliera. Le vacche grasse sono ora un lontano ricordo (e sicuramente non ritorneranno), ma i campanilismi purtroppo restano ed è difficile far capire che i costi gestionali di più nosocomi per 200.000 abitanti sono inconciliabili con una buona assistenza sanitaria: può far comodo avere l’ospedale sotto casa, ma la qualità percepita è ben diversa da quella effettivamente erogata. Il rimborso regionale è stabilito sul numero di posti letto e se questi sono frazionati in più sedi, oltre alle maggiori spese di gestione delle strutture, ci sarà sempre carenza di infermieri (un conto è garantire l’assistenza in un reparto con 30 letti, un altro è garantirla in due reparti da 15), carenza o vetustà di attrezzature e apparecchiature, limiti prestazionali e, in definitiva, meno qualità e più rischi per i pazienti. E’ una realtà che deve far riflettere gli amministratori locali che dovrebbero avere il coraggio di fare scelte al momento sicuramente impopolari ma fondamentali per il futuro. Per il territorio lodigiano basta un solo ospedale: costruiamone uno nuovo (in un paesino, così evitiamo le rivendicazioni dei comuni più grandi), moderno, efficiente e funzionale e progettiamo un buon servizio di trasporti che consenta collegamenti agevoli per i cittadini. Può sembrare un’utopia, ma a lungo andare avremmo sicuramente un ritorno positivo sia in termini di qualità dell’assistenza sanitaria che in termini di costi.

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