A un tale che giocava sempre a dadi, Platone rivolse un rimprovero affinché smettesse. L’invito non fu accolto in quanto l’abitudine ai dadi era giustificata dalla posta in gioco che era comunque piccola. «Ma l’abitudine non è cosa piccola» rispose Platone. Da questo aneddoto, raccontato da Diogene Laerzio, si capisce come il gioco se da una parte riesce sempre a catturare qualcuno, dall’altra continua a preoccupare qualche altro. La stessa riflessione emerge dalla recente Relazione del Dipartimento Nazionale Antidroga presentata al Parlamento lo scorso 23 luglio dove, tra l’altro, è messo in rilievo che più di un milione di studenti delle scuole superiori tra i 15 e i 19 anni sono vittime degli accattivanti guadagni prospettati dai manipolatori dei messaggi promozionali sui giochi d’azzardo. Un dato preoccupante che rende angosciante la vita di molte famiglie divise tra l’osservanza di tradizioni e valori fondamentali chiamati a regolare i rapporti soprattutto all’interno del nucleo famigliare e una società oggi particolarmente aperta che propone anche ammalianti approcci ai giochi on-line. Si sa che quando un ragazzo è attaccato alla rete e cerca nei giochi on-line la risposta alle sue esigenze espressamente richieste dalle odierne relazioni amicali, il rischio che il gioco si trasformi in una sorta di patologia è molto alto fino a coinvolgere direttamente famiglia e scuola. Entrambe le agenzie educative, infatti, sono chiamate a mettere un freno a quella che per il vice Ministro dell’Interno, Filippo Bubbico, è «una piaga alla quale bisogna dire basta». E’ appena il caso di ricordare il drammatico episodio accaduto ai primi di luglio a Ischia dove un giovane, poco più che diciannovenne, si è suicidato per aver perso al videopoker e alle slot-machine una significativa somma di denaro della famiglia. Emotivamente distrutto ha preferito farla finita piuttosto che affrontare i rimproveri dei genitori. Un biglietto trovato in tasca del ragazzo ha suggerito agli inquirenti la ricostruzione delle ultime ore di vita del giovane. E’ solo uno dei tanti episodi che la cronaca spesso consegna all’attenzione di chi vede nel nuovo “cancro sociale” l’occasione ammagliatrice per una vita dispendiosa, alimentata dalla frenesia di cercare nella fortuna quell’unica soluzione richiesta dai nuovi canoni della vita relazionale di oggi. Evidentemente le tradizionali paghette che hanno storicamente segnato il confine dei rapporti economici tra genitori e figli con regole condivise e accettate, non bastano più; le risorse economiche sia pur limitate, ma frutto di salvifici lavori saltuari espressione di una conquistata autonomia, non rispondono più a sufficienza a un certo tenore di vita che per un giovane significa soprattutto serate con amici, partecipazioni a movide notturne, acquisti di smartphone di ultima generazione. Per dirla in parole povere al giovane d’oggi si presentano diverse esigenze da gestire e mantenere, che richiedono cospicue risorse economiche, in qualche modo, da reperire. E qui nasce il problema. Come assicurare questo continuo approvvigionamento economico che la radice sociale vuole sempre più esoso? A questo punto la tentazione di cercare in giro o nella rete un sistema che moltiplichi quelle insufficienti risorse economiche si fa concreta e persistente. Molti ragazzi si affidano così alle slot-machine disseminate un po’ dovunque, viste come occasioni della buona sorte, ma anche ai giochi on-line, rifiutando l’idea che sono mezzi e sistemi eticamente discutibili poiché fondati su principi di sfruttamento se non addirittura su ipotetiche strategie di riciclaggio di denaro ad opera di organizzazioni criminali senza scrupoli. A cadere nella rete delle facili illusioni sono sì giovani e giovanissimi, ma anche adulti convinti che il gioco in fondo è fatto di colpi di fortuna che prima o poi riempiono le proprie tasche fino a recuperare le somme che da quelle tasche sono uscite. Di qui la convinzione che restare incollati a quelle sinistre abitudini più che un rischio rappresenti un’occasione pronta a restituire respiro alla propria speranza. Una convinzione alimentata dalle statistiche opportunamente messe in circolo a ricordare la svolta nella vita che tante persone hanno già conosciuto. Ma un conto sono le statistiche, altro è la realtà che vede spesso l’abitudinario giocatore ridotto sul lastrico dopo aver dilapidato ingenti risorse economiche a disposizione. E’ proprio l’abitudine al gioco che se da una parte alimenta la speranza di inciampare in un’occasione favorevole e risolutrice, dall’altra impoverisce la dignità di una persona sempre più esposta ai tentacoli vanamente fruttiferi, ma stranamente idolatrati. Ciò che più allarma oggi è la giovane età degli accaniti abitudinari. Sono loro che più degli adulti rappresentano il mercato ottimale del gioco d’azzardo; sono loro oggetto del desiderio delle organizzazioni che agiscono dietro le quinte, che attirano nella rete tanti adolescenti inebriati da alte percentuali di facili guadagni, partecipando come concorrenti virtuali attirati nella trappola con premi promozionali. Solo che il gioco alla fine non è per niente virtuale visto che la perdita di somme di denaro avviene in modo concreto e reale. Ma oramai si è caduti nella trappola resa suggestiva da vincite iniziali, ma che ben presto, indotti i ragazzi all’abitudine partecipativa, svelano il vero volto scavato da amarezze e illusioni. A questo punto si devono fare i conti. E i conti non tornano. I risparmi sono dissipati, la convinzione di recuperare si fa sempre più fievole, il panico e la disperazione cominciano a guadagnare terreno fino a dominare le tensioni. L’adolescente emotivamente cacciato indietro ha perso la sua spinta iniziale mentre le sue certezze sono diventate lontane speranze. Emotivamente indebolito, il ragazzo non sa più come muoversi, come venirne fuori, mentre la sua giovane età non lo aiuta a gestire una situazione complicata che ha superato la sua stessa capacità di controllo e autocontrollo. Sente che il mondo non gli è più amico e gli amici sono molto lontani sia fisicamente che emotivamente. In un universo di tragici struzzi la solitudine diventa la sua unica e sola pericolosa amica a cui confidare il proprio stato d’animo. Solo e isolato non sa di essere, in realtà, in cattiva compagnia. Incerto e confuso non trova risposte ai suoi perché mentre nella mente cominciano a fare capolino pensieri e parole che, ben lontani da uno stato di razionalità, trovano nell’incontrollabile emotività una sinistra valvola di sfogo. Difficile tornare indietro e così senza cercare opzioni, si affida all’esito dell’errore commesso. Sono in aumento casi di minorenni che si lasciano andare a gesti disperati, lasciando nello sconforto genitori, insegnanti e amici affranti dal dubbio di non essere riusciti a capire gesti, sguardi e confidenze di un ragazzo che forse non ha avuto il coraggio di chiedere aiuto. Ecco dove porta l’abitudine al gioco ritenuta da Platone «cosa non piccola» a cui va data attenzione più della stessa posta in gioco. Si comincia tra entusiastiche speranze e si finisce tra irreprensibili incertezze. Questo è il gioco. Ma la vita, ragazzi, non è un gioco.
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