Genitori tra difficoltà e fallimenti

Tanti minorenni sono stati protagonisti della giornata di violenze al corteo degli indignati» è l’amaro commento del capo della polizia Antonio Manganelli dopo le devastazioni della scorsa settimana a Roma. Ma cosa sta succedendo nel mondo degli adolescenti? Stiamo parlando di sedicenni con tra le mani i sampietrini lanciati contro i poliziotti. Non solo. Abbiamo segnalazioni di minorenni violenti contro i propri genitori, contro i coetanei, contro i docenti. E’ una sfida continua al mondo adulto ritenuto ostile, ai docenti ritenuti noiosi, cavillosi, superati come esempio. La scena oggi è occupata più dalle nuove performance da mostrare che dallo studio da coltivare. Lo stile è un altro, i rapporti sono cambiati, i modelli ripercorrono i nuovi desideri ragion per cui a suscitare attenzione e interesse sono le nuove tecnologie, i moderni social network, i tatuaggi sparsi un po’ dappertutto, i piercing in bella mostra, e poi un abbigliamento trasandato o audace, una pettinatura rasa o ribelle. Il tutto a sottolineare la propria personalità determinata, forte che non guarda in faccia l’interlocutore. E’ uno sguardo duro quello che spesso viene offerto all’insegnante, accompagnato il più delle volte da comportamenti di sfida che rasentano la provocazione fino a mettere a dura prova la stessa pazienza di chi deve mantenere la calma, se non frenare la voglia di reazione. Purtroppo questi sono gli adolescenti di oggi. E i genitori? Cosa possiamo dire dei genitori di oggi? Sicuramente non è sbagliato dire che la nuova generazione dei genitori si mostra molto più premurosa di un tempo. Una generazione parentale preoccupata di non far mancare nulla ai propri pargoli, sempre pronta ad affrancarli da qualsiasi sacrificio, sempre sensibile ai richiami e alle lamentele, attenta a scendere in campo per difenderli da chi osa proferir loro parole ritenute oltraggiose. Genitori pronti ad accorre per tirarli fuori dai guai giudiziari in cui alcuni vanno a cacciarsi. Sempre pronti a giurare sulla loro estraneità, sulla loro innocenza, dimostrando così di non conoscere il mondo nascosto di quei figli, amanti della solitudine vissuta nella propria stanza. Ma attenzione perché proprio «quando si è soli, si è in cattiva compagnia» ci ricorda Paul Valéry, scrittore e poeta francese. Genitori tanto premurosi da rimpinguare il conto in banca, pronti a fornirli di un salvifico bancomat, disponibili a firmare un prestito d’acquisto pur di non privarli della moto e una volta maggiorenni, ovviamente, dell’auto. Stiamo parlando di genitori che evidentemente non hanno conosciuto le condizioni dei padri con al massimo un libretto di risparmio che doveva fare i conti con il libretto del panettiere sensibile nel fornire il pane a credito; lontani dalle moderne carte di credito, ma molto vicini alle cambiali firmate per acquistare la ghiacciaia. Sicuramente è un mondo scomparso. Un mondo che si è portato dietro anche la buona educazione che quel mondo trasmetteva per indole e tradizione. Sarà questo forse il motivo di amarezze e disagi vissuti da tanti docenti? Forse. Fatto sta che da un recentissimo sondaggio condotto dalla rivista VdG Magazine, dagli esiti ancora in fase di studio, un insegnante su due si ritiene stanco e sfiduciato fino al punto da essere disponibile a cambiare lavoro. Uno studio condotto su 500 docenti equamente divisi tra scuole medie e scuole superiori tra i 30 e i 60 anni. Una fascia, quindi, molto ampia che va dalle nuove generazioni di insegnanti fino a coloro che sono prossimi alla pensione. E il quadro è sconfortante. Emerge, ad esempio, che il rapporto con i propri studenti viene vissuto con sofferenza dovuta a comportamenti scorretti, maleducati, esageratamente reattivi. Ragazzi pronti alla polemica, alla reazione sconsiderata, alla risposta provocatoria, lontani dal rispetto delle regole se non addirittura pronti alle offese, ai gesti volgari, alle azioni violente. Qualcosa nei rapporti è cambiato, ovviamente in peggio. Scuole come l’ITIS «Galvani» di Giugliano, un grosso comune dell’interland napoletano, dove si fa lezione con i vigilantes nei piani e una guardia giurata all’ingresso della scuola o come l’istituto alberghiero «E. Mattei» di Rosignano, in provincia di Livorno, dove mezza classe prima (stiamo parlando di ragazzi di 14 anni) viene sospesa per quasi un mese per vandalismo, sono chiari esempi di un malessere adolescenziale difficile da estirpare. Scuole dove bisogna fare i conti anche con i genitori non disponibili all’ascolto, non avvezzi al confronto, insensibili ai richiami sentiti più come cattive ingerenze dei docenti nelle situazioni famigliari che non come sollecitazioni educative da considerare. Evidentemente la fatica di educare si fa sentire più di quando i valori e le tradizioni sociali passavano di mano in mano dai genitori ai figli. Oggi questo scambio non avviene più, anzi, è auspicabile che non avvenga dal momento che a scambiarsi di mano non ci sono più i valori, gli insegnamenti, le abilità, ma le debolezze, le fragilità e le insicurezze che rendono la responsabilità educativa un terreno permeabile fino a farlo attraversare da smarrimenti, dubbi e talvolta prepotenze. Oggi più di ieri sono tanti i genitori non più disponibili a rischiare per cercare, per i propri figli, una strada che abbia un senso. La paura di sbagliare riesce più di ogni altro sentimento a condizionare i rapporti tra genitori e figli fino a indebolire ogni possibile tentativo di affrancamento. Eppure dietro ogni difficoltà educativa non sempre si cela il rischio di un fallimento. Basta poco per ritrovare un’occasione buona e rivitalizzare un’armonia relazionale. E’ sufficiente, per questo, cominciare dai piccoli gesti quotidiani da mettere in pratica a casa come a scuola, al bar come in oratorio, da soli o in compagnia, senza aspettarsi subito grandi risultati, ma anche senza mollare dopo i primi fallimenti. Educare è sempre un’opera faticosa che non può avvalersi di formule specifiche da sviluppare per arrivare a un sorridente risultato finale. Educare è un’opera difficile che richiede pazienza, costanza, consapevolezza, ma anche fermezza. E’ un’opera fatta di sì e di no, di condivisione e di disapprovazione, poiché come ci ricorda Kant «una generazione educa l’altra. L’uomo può diventare tale solo con l’educazione». Così si impara a vivere.

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