Europa, il segreto per lo sviluppo

Sono giorni decisivi per l’Europa, per l’Unione e per l’Euro. Cresce, sia pure tra mille contraddizioni, la consapevolezza che occorre andare in profondità, al di là delle nevrosi dei mercati e degli stessi elettorati. Serve una maggiore sostanza e sintonia politica, come pure una maggiore auto-consapevolezza di quanto l’Europa (ovvero l’Unione e l’Euro) significano per un sistema mondiale affannato. Lo sta capendo l’amministrazione Usa, così come lo capisce benissimo la Russia, che le vicende europee sta seguendo con grande attenzione, sia sul versante finanziario, sia su quello strategico, in relazione con lo spazio che ora si comincia a definire neo-ottomano. Sarà probabilmente qui che, parallelamente alle vicende finanziarie, si potrà capire quanto l’Unione è capace di pensarsi e proporsi come soggetto.Sul piano politico, in effetti, non servono accelerazioni volontaristiche, quanto piuttosto bisognerebbe registrare, sincronizzare i processi di governance dei diversi Stati, che continuano a essere i protagonisti e anche i soggetti della legittimazione popolare.Anche l’altra constatazione, cioè la debolezza delle leadership, il crescere dei movimenti di protesta senza programma, le alternanze per disperazione che puntualmente elettorati sempre più preoccupati finiscono per determinare, non può rappresentare un alibi per l’inerzia, quanto piuttosto una giusta percezione dei limiti.Perché una cosa è chiara, nel frullare spesso contraddittorio delle cifre e delle previsioni. Non esiste una soluzione tecnocratica o ragionieristica alla crisi finanziaria: le ricette da Fmi, infatti, palesemente non funzionano. Né esiste una soluzione politica senza coraggio, responsabilità e lungimiranza, proprio le merci che sembrano sempre più latitare. In ogni caso la soluzione politica deve rappresentare un passaggio ulteriore dell’Unione, nella sua dimensione democratica e sociale. Due parole che sembrano essere rimaste prigioniere del secolo passato e di cui bisogna, però, con grande urgenza riappropriarsi.Questo forse è il grande nodo prima ancora che politico, culturale, che rischia di esser travolto, con il declino dei ceti medi che, dal secondo dopoguerra, nell’Europa occidentale, hanno sostenuto il processo di unificazione.Il 24 giugno, nella festa di san Giovanni, il presidente della Cei ha ricordato anche un ulteriore piano, quello sostanziale delle radici cristiane, che non rappresentano una rivendicazione di bandiera, o un elemento di divisione, ma una risorsa, cui ritornare in quanto “hanno generato una civiltà moderna e sempre attuale”. Una modernità attenta alla persona e al tessuto sociale: questo il segreto dello sviluppo in Europa nella seconda metà del XX secolo. Un patrimonio originale che ora bisogna difendere e rilanciare.

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