Esposizione dei cartelloni: è verità?

Siamo al capolinea e la scuola è chiamata a fare i conti con i ragazzi equamente distribuiti tra bocciati, sospesi, e promossi. Un trittico tabellone espone l’esito finale di chi è chiamato a rendere conto del risultato del proprio impegno nello studio. I promossi sono i più sanguigni e per certi versi i più veraci. Irrompono sulla scena con schiamazzi e grida di gioia, baci e abbracci e anche qualche lacrimuccia liberatoria (alle ragazze lo stress gioca brutti scherzi). Sono quelli che godono di una situazione intima scoppiettante, felici di rendere partecipi del proprio risultato i genitori, che soddisfatti della conclusione dell’anno scolastico ben si dispongono a dare seguito alle promesse fatte durante l’anno. Una vacanza con il gruppo degli amici in piena autonomia, ma anche il classico motorino oppure l’oggetto del desiderio per eccellenza: un nuovo smartphone, quello di ultima generazione che consente di fare tutto, anche l’impossibile (come, ad esempio, copiare senza essere visti). Una scommessa vinta in nome della serietà, del sacrificio, della rinuncia, dell’impegno costante, valori che richiedono fatica e che non tutti sono disposti ad accollarsi. Sono i ragazzi dal cuor allegro che raccolgono i complimenti di amici e parenti dietro lo sguardo compiaciuto dei genitori che finalmente possono tirare un sospiro di sollievo e programmare le vacanze senza alcun intoppo salvo quello imposto dalle tasche che si prosciugano sempre di più. Ma questo è un altro problema. L’oscuro Eraclito l’aveva presentato sotto forma di un enigmatico frammento: «La via in su e la via in giù sono la stessa e la medesima». E’ come dire che tutti prima o poi dobbiamo fare i conti con gli opposti che si fronteggiano e che chiamano a delle scelte. Questo vale anche per i ragazzi disposti a salire e a sacrificarsi o a scendere senza tanto impegnarsi. Leggermente diverso è lo stato d’animo di chi deve affrontare i supplementari. Sono i ragazzi dal «giudizio sospeso», quelli che una volta trovavano scritto in rosso sul cartellone i voti insufficienti accompagnati dal teutonico: «rimandato»! Sono i famosi debiti una volta condonati e oggi confermati almeno fino a nuova situazione da recuperare con una doverosa preparazione estiva. I debiti vanno sempre saldati. Ce lo ricorda con un monito il buon Socrate che qualche attimo prima di morire si raccomanda all’amico Critone accorso al suo capezzale: «Ricordati che siamo debitori di un gallo ad Asclepio. Dateglielo e non dimenticatevene». E se ha importanza la restituzione di un gallo, a maggior ragione la stessa importanza va riservata alle materie da recuperare. A questi ragazzi non deve venir meno la speranza del raggiungimento di un obiettivo, che sia pur temporaneamente mancato, è raggiungibile con una dimostrazione tardiva. L’estate è il periodo dello studio anche se scandito da ritmi blandi, consumati sotto il solleone, rallentati dal caldo e dal sudore. Per tanti ragazzi è il prezzo imposto se non si vuol staccare il vagone dal resto della compagnia. Del tutto diverso è il discorso sui bocciati. Una categoria di ragazzi incazzati, dai nervi scoperti i cui nomi sono riportati sul tabellone senza alcuna indicazione, senza voti, senza scampo, senza scusanti. Sono i ragazzi della “riga bianca” che a un certo punto hanno rinunciato all’impegno, hanno gettato la spugna, hanno fatto una scelta per lo più non condivisa dai genitori, ma pur sempre messa in atto consapevolmente. Molti hanno assunto un atteggiamento di scontro e di scarso impegno, tanti hanno provato l’asprezza della conseguenza delle scelte fatte, ma tanti hanno bisogno di recuperare le basi per riscoprire l’importanza dei contenuti trascurati o erroneamente tralasciati. Non parliamo solo di ragazzi contro, ma anche di ragazzi da recuperare poiché volenterosi, onesti. Sono ragazzi che senza ombra di dubbio meritano una prova di appello ragion per cui niente deve essere presentato come un fallimento. Si parli piuttosto di insuccesso e nella vita con gli insuccessi prima o poi tutti facciamo i conti. Hanno dovuto fare i conti con gli insuccessi a scuola un grande della scienza come Albert Einstein, scrittori come Daniel Pennac o come Niccolò Ammanniti premio Strega nel 2007, politici come il già sette volte presidente del Consiglio morto di recente Giulio Andreotti, Fausto Bertinotti, attori come Riccardo Scamarcio, Alessandro Gassman, uomini di spettacolo come Renzo Arbore. E l’elenco potrebbe continuare. Di recente ha destato perplessità la volontà politica dei governanti della Bassa Sassonia di abolire del tutto la bocciatura nelle scuole dei vari Land. Una soluzione già applicata dall’Austria, dall’Islanda, dalla Norvegia. Una soluzione radicale che, come è facile intuire, potrebbe scatenare un dibattito dai contenuti accesi. Ma mi chiedo. Può mai esistere una scuola chiamata solo a promuovere? Che non boccia? Personalmente penso che la scuola sia per sua stessa natura chiamata a promuovere e a bocciare, ma spieghiamo meglio i concetti. Quando si parla di promozione il primo pensiero va ai bei voti presi. Eppure dietro questa visione prettamente scolastica, di rilevante importanza, ce ne una formativa altrettanto rilevante. Un valore che punta a plasmare una personalità, un carattere, una forma mentis che contribuisca a formare un uomo e una donna, una cultura civica che faccia del dialogo, del rispetto e della tolleranza le linee guida che aiuti a capire il punto di vista dell’altro. Diversa la riflessione sul concetto di bocciatura da tanti ritenuta un retaggio della scuola selettiva duro a morire. Una valutazione negativa di difficile condivisione sentita più come un fallimento, come una sconfitta che come un insuccesso. Un senso di frustrazione alimentato da convinzioni e opinioni impietose come quella di Don Milani quando dice che «una scuola che boccia è come un ospedale che guarisce i sani e respinge i malati». Una convinzione che scuote la coscienza di tanti insegnanti ben ancorati alla forza formativa dell’insuccesso che aiuta a crescere e a educare, che aiuta a gestire le difficoltà della vita. Un punto di vista che ben si allinea alla certezza che un insuccesso non presuppone né diseguaglianza sociale, né alcuna pericolosa condizione di emarginazione. Ma allora è forse la scuola che prepara male?

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