Se il suolo sconnesso o scivoloso favoriscono, come abbiamo visto, i rigulon, all’origine della caduta ci può anche essere un contatto fisico più o meno rude, ad esempio un rüson, un sbüton, un fruch, e via spingendo.Ne parla anche Dante, nell’ottavo canto dell’Inferno: «El s’é tacad al legn sensa riguardi/ ma ‘l me maester el gh’à dai un fruch:/ “E va’ a baià insema ai to bastardi.”». Chi obiettasse che l’Alighieri mai avrebbe usato il nostro dialetto, pur egregio ma non “illustre”, vada a leggersi quella straordinaria traduzione della Divina Commedia in lodigiano di Tranquillo Salvatori: fruch è lo spintone con cui Virgilio allontana Filippo Argenti - un fiorentino arrogante e violento, e per questo messo nel girone degli iracondi - che si solleva dal fango (lod. molta) in cui è immerso per l’eternità. Questa paroletta, fruch, viene da taluni collegata a frucone (o frugone), termine antico che indicava un bastone usato per frugare e, per estensione ‘colpo, percossa, pugno’; altri la derivano da fracco, dal settentrionale fraccare, ‘premere, spingere’, a sua volta pronipote del latino frangere, ‘rompere’.Se poi quello di Virgilio anziché un fruch fosse stato un rüson non è dato sapere. Quel che è certo è che anche rüson (con il verbo rüsà) è di ampia diffusione al nord e di paternità incerta: se la contendono latini e celti, popoli rudi, avvezzi ad alzare le mani alla minima occasione. Qualche studioso “non belligerante” lo classifica invece come onomatopeico. Da rüsà abbiamo rüsà sü, ‘rimproverare duramente, strapazzare’. Ancora una spinta e arriviamo a sbüton. Come per il cugino büt (il germoglio, che si «spinge» fuori dal ramo), il capostipite sarebbe da individuare nel Francone, antica lingua del ceppo germanico, con discendenze nel provenzale e nel francese che si sarebbero, appunto, “spinte” fin da noi.Contrario dello sbüton è lo strepon, lo strattone: uno spinge, l’altro tira, ma il risultato è lo stesso, come ben sanno - loro malgrado - le vittime di uno scippo (parola di origine dialettale ma napoletana, e quindi fuori dalla nostra “giurisdizione”).Dai giochi di mano a quelli di piede: uno sgambetto può far cadere quanto o più di una spinta... ma una gambiröla può essere più efficace di un più moderno e italianeggiante sgambet. C’è però anche chi cade da solo, incespicando nelle sue stesse gambe: ignoriamo come faccia l’italiano medio, ma sappiamo che il lodigiano “el se ingambisa”.E se la causa del capitombolo non è nelle gambe ma nella testa? Ad esempio per un capsturnu, deformazione popolaresca dell’italiano capostorno, una malattia cerebrale (detta anche balordone) caratterizzata da stordimento, alterazione della coscienza ecc. Per fortuna colpisce solo cavalli, bovini, ovini, cani: se non rientriamo in queste categorie possiamo stare tranquilli. Osserviamo che nei dialetti del nord-est storno sta per ‘confuso, stordito, frastornato’: e infatti il nostro capsturnu “umano” (o balurdon) è un semplice capogiro, un attacco di vertigini. Probabilmente niente di grave, ma almeno una controllatina alla pressione sarà bene dargliela.
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