Economia, una dolce vendetta

La dolce vendetta delle ex colonie sette-ottocentesche, che nel XXI secolo “colonizzano” i vecchi padroni europei con la forza dei soldi. Il caso più clamoroso è quello del Portogallo, Paese comunitario in area-euro, sommerso da un debito pubblico imponente e dalle difficoltà attraversate dal suo sistema economico. Ebbene: l’antica colonia brasiliana sta fortemente sostenendo i titoli di Stato portoghesi, un po’ per i buoni rendimenti che danno, un po’ per sfogare l’eccesso di liquidità che inonda il Brasile di questi ultimi anni. Nazione dagli enormi squilibri sociali, quella brasiliana è comunque un’economia in grande sviluppo che attira imponenti capitali esteri e altrettanti ne incamera con la vendita di materie prime e di petrolio (qui sono stati scoperti degli enormi giacimenti “off shore”). Viste le difficoltà degli antichi padri lusitani, è stato giocoforza tendere la mano ad un’economia – quella portoghese – che ormai vale una frazione di quella brasiliana. E c’è chi parla addirittura di riunire politicamente le due nazioni.E l’India, poi? Anche qui stridenti contrasti sociali, anche qui però una ricchezza crescente che cerca sbocchi all’estero. Per la penuria di materie prime nel mercato interno (gli indiani sono un miliardo, ed entro pochi decenni supereranno la Cina quale Paese più popolato della Terra), gruppi agroalimentari indiani hanno acquistato grandi proprietà agricole soprattutto in Argentina, ma anche in Etiopia, Madagascar e Malesia. Ma ha soprattutto fatto scalpore l’acquisto, da parte dell’indiana Tata, delle gloriose Land Rover e Jaguar, auto british per eccellenza ma asiatiche ora per proprietà. Per non parlare infine dell’Arcelor Mittal, multinazionale indiana dell’acciaio da 320 mila dipendenti che ha decine di stabilimenti in mezza Europa, Italia compresa. Londra un tempo comandava l’enorme colonia che considerava la “perla della Corona”; oggi accoglie gli eredi di Gandhi a braccia aperte.Altra nuova “tigre” dell’economia mondiale è l’Egitto: è di un magnate egiziano (Naguib Sawiris) una compagnia telefonica ben conosciuta pure in Italia, la Wind. Ed è stato di proprietà egiziana fino a pochi mesi fa pure il simbolo del consumismo inglese, i londinesi Magazzini Harrods, ora nelle mani di investitori del Qatar.Infine la tigre più ruggente, la Cina. Poco più di cent’anni fa era spartita in “zone d’influenza” tra otto nazioni europee, formalmente un impero ma sostanzialmente una colonia commerciale. Oggi gli investimenti cinesi – frutto dell’enorme surplus commerciale di questi ultimi anni – invadono le economie occidentali. Si stima che un terzo del debito pubblico americano (e un’ampia fetta di quello italiano) sia nelle mani di investitori cinesi; la maggior banca britannica (la Hsbc) è “made in Hong Kong e Shanghai”; il porto greco del Pireo è di una compagnia cinese, come il 20% del debito pubblico ellenico e il 12% di quello spagnolo. La compagnia automobilistica svedese Volvo – sull’orlo del fallimento – è stata ceduta dalla Ford alla cinese Geely che, oltre a risanarla, s’è incamerata in un sol colpo e a poco prezzo le centinaia di brevetti tecnologici sviluppati nel corso di decenni dagli svedesi soprattutto nel campo della sicurezza. E pure la Saab si è aperta a capitali cinesi.La storia delle ex colonie che accorrono in aiuto agli ex colonizzatori si potrebbe completare con il caso libico, con quel Gheddafi che, fino a tre mesi fa, deteneva il 7,5% di Unicredit, dopo aver salvato negli anni Settanta la Fiat dalla bancarotta. Gli investimenti libici spaziavano fino al calcio, con una quota della Juventus. La guerra ha congelato tutto, in attesa di capire chi saranno i nuovi padroni di questi pacchetti azionari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA