Ecco come perdere la supplenza

«Gli uomini si dimostrano privi d’intendimento, sia prima di porgervi orecchio, sia dopo avervi ascoltato, e non s’accorgono di quello che fanno mentre sono svegli» sono parole di Eraclito, quello del fuoco, quello che con molta probabilità se fosse stato oggetto di approfondimento culturale da parte di una particolare maestra, supplente nella scuola elementare di Scandicci, forse non sarebbe andata a finire sui giornali e con essa anche la scuola. Una storia che dovrebbe insegnare un valore: l’umiltà. Quando si è impegnati come insegnanti o quando certe circostanze mettono a dura prova la stessa professionalità docente, bisogna avere l’accortezza di essere talmente umili da lasciarsi catturare da qualche dubbio. Talvolta, purtroppo, succede che per orgoglio o per certezze date per inconfutabili, non si vuole ammettere i propri errori o comunque non si vuole essere presi dal dubbio di aver sbagliato e allora può succedere ciò che è successo alla nostra insegnante di Scandicci. I fatti in breve. Presso la scuola elementare di Scandicci un alunno di quinta preso da un dubbio amletico, chiede alla propria maestra un chiarimento su un errore segnato a penna rossa, ma del quale si mostra poco convinto. «E’ sicura, signorina maestra, che “Gianni a mangiato un panino” si scrive senza la acca»? L’errore della maestra, infatti, è stato quello di aver corretto ciò che non andava corretto. Lapidaria la risposta: «Certo. Taci. Tieniti l’insufficienza e vai al posto». Un atteggiamento che ha seguito forse più l’istinto della reazione che la ragione di una osservazione. Una risposta data forse senza prestare ascolto, eppure data nel pieno esercizio delle proprie funzioni, in classe, ad un alunno. L’episodio, però, considerato ad onor del vero uno dei tanti segnalati durante la supplenza, ben presto fa il giro delle famiglie. A questo punto un dubbio assale i genitori. Possibile che per la maestra “a mangiato” si scrive senza la acca? E ancora. Possibile che “sta e do” (com’era già capitato di rilevare) si scrivono con l’accento? Stufi dei tanti strafalcioni viene chiesto l’intervento della dirigente scolastica che dopo gli opportuni approfondimenti, constatata la veridicità di quanto segnalato, decide di non rinnovare la supplenza. Intanto nessun dubbio assale l’insegnante che definisce «semplici distrazioni» gli errori regolarmente segnalati in più di un’occasione da alunni e genitori. Il problema sta proprio qui. E’ mai possibile che nessun dubbio assale la maestra? Eppure il dubbio fa parte della quotidiana esperienza di ciascuno di noi. Almeno così dovrebbe essere. Dubitare di qualcosa vuol dire semplicemente avere la capacità di approfondire il proprio pensiero, il proprio operato, essere in grado, quindi, di rivedere continuamente se stessi. E’ un modo come un altro per continuare a essere persone attive nel contesto in cui si vive e si agisce. Può essere la scuola, la famiglia, ma possono essere anche occasioni di incontri, di dialogo, di confronti. A me spaventa tanto chi non mette mai in discussione se stesso, chi non ammette osservazioni all’infuori delle proprie, chi non trae dal prossimo, esempi di vita che possano aiutarlo a meglio vivere, a meglio capire. Dobbiamo educarci a trattare il dubbio come un semplice compagno di vita e non deve spaventare nessuno. Quando un dubbio ci assale, deve essere un’occasione che ci viene fornita per rivedere e riconsiderare un proprio convincimento. Persino l’imperatore Costantino, passato alla storia per l’Editto di Milano riguardante la libertà religiosa, poco prima di morire, lasciandosi catturare da un benevolo dubbio, pare abbia detto a chi lo stava battezzando, «speriamo di non sbagliare». Probabilmente lo stesso dubbio avrebbe dovuto assalire la maestra a fronte di chiarimenti richiesti da alunni e genitori, e invece forse per orgoglio professionale (e mi auguro non per ignoranza acquisita) invita l’alunno ad andare al proprio posto e di tenersi l’insufficienza nonostante lo strafalcione così acclarato. La lezione che dobbiamo ricavare è che l’errore fa parte della storia umana, che sbagliare è una circostanza quasi sempre dovuta a una conseguenza delle proprie decisioni. Ciò che invece non bisogna mai sottovalutare è il riconoscimento dell’errore, è la possibilità di correggersi, è la capacità di ammettere i propri limiti. Un docente non è portatore di verità. Un docente è portatore di valori, di professionalità, di saperi. Un docente deve essere in grado di trasmettere cultura proprio perché agli occhi dei propri allievi è uno che sa, uno da cui ci si aspetta la capacità di trasmettere il sapere verso uno che non sa. Nell’episodio analizzato c’è un allievo preso dal dubbio di aver sbagliato là dove non c’era alcun errore. Un alunno che voleva andare oltre ogni ragionevole dubbio per costruire la conoscenza. Come reazione ha ricevuto un invito ad allontanarsi dalla cattedra, a non mettere in discussione una verità professionale, in ultima analisi a tenersi pure la sua insufficienza sia pure frutto di un falso errore. Ma qui l’errore sta proprio nell’aver rifiutato l’arricchimento della propria funzione, rifiutando di elaborare un’occasione del sapere. Meglio sarebbe stato se, affidandosi a un atteggiamento onesto, avesse riconosciuto il madornale errore andando oltre il concetto di onniscienza per offrire un profondo gesto di umana sapienza. Cosa che non dovrebbe mai mancare in un docente. Ma in questo caso l’insegnante ha perso la giusta dimensione per rifugiarsi in un atteggiamento irato fino a peccare di chiarezza. Un bisogno particolare mostrato da un alunno è stato contrastato da una reazione negativa per niente appropriata. Conoscenze e abilità sono state messe in crisi fino a mettere in discussione persino il concetto stesso di insegnante che per Donald Schon, pedagogista americano un po’ sui generis, è un «professionista riflessivo» ovvero un testimone di cultura esperto in metodologia, didattica e strategie relazionali. La nostra maestra tutto può essere tranne che questa dimensione. Incertezza e ansietà hanno minato il suo apprendimento riflessivo. Mai come in questo caso trovo profetico ciò che amava sottolineare lo stesso Schon: «il nostro conoscere è nella nostra azione». E se per un punto Martin perse la cappa, la nostra maestra per un’acca ha perso la supplenza.

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