È davvero la festa della donna?

Sarebbe troppo facile e troppo macabro dire che a Brescia a una donna la festa l’hanno fatta con qualche giorno di anticipo, troppo facile perché le statistiche ci dicono che queste violenze domestiche hanno una cadenza impressionante: una morte ogni tre giorni indipendentemente dall’otto marzo; troppo macabro perché il termine “fare la festa” ha anche quest’accezione negativa.Poi, ci si può giustificare dicendo che qualche volta anche le donne ci provano, poche volte però, che la follia si nasconde nella più banale delle normalità, che le donne fanno paura più del lupo, che amare per troppi, sempre di più purtroppo, significa solo ed esclusivamente possedere.Abbiamo, più o meno, inconsciamente annullato lo spazio fra il desiderio e il possesso o meglio abbiamo cancellato il desiderio come luogo in cui ci si crogiola accarezzando cose che non necessariamente riusciremo ad ottenere; esiste solo una bramosa voglia cui consegue il delirante e irrinunciabile diritto al possesso.Non fa paura amare ma essere amate.Amate, non amati, perché in amore il sesso fa la differenza, le mura domestiche per gli uomini sono sempre il luogo dei sentimenti, per le donne spesso anche quello della paura.Sarà perché, pur essendo sottoposte agli stessi stimoli, le donne sono abituate e costrette dalla loro stessa natura ad amare senza possedere, concepire un figlio, mettergli a disposizione il corpo, respirare per lui, accudirlo, crescerlo, ha come presupposto la capacità di lasciarlo andare, di soffrire, di straziarsi l’anima regalandolo al mondo, di nascondere il dolore con un sorriso e di incoraggiarlo a partire.Sono troppo pigra e troppo superficiale per essere una fine pensatrice, ma trovo che sia questa la chiave di lettura che ci consente anche di spiegare come la violenza femminile sia più rivolta ai bambini che agli uomini; è lì che per le donne l’amore diventa malattia, cioè possesso.Di possedere un uomo interessa a poche e caso mai per rispondere alla signora anziana, quindi mia coetanea, che si domandava “perché sem no nüm a masai lur con tüt quel chi m’han fà?”: perché per rabbia si uccide molto meno!E soprattutto l’amore controlla la rabbia.Otto marzo, festa della donna ma quest’anno la mimosa puzza più del solito!Ha sempre puzzato, ma questa volta ricorda vagamente l’odore del crisantemo!Ma come si fa? Come si fa a festeggiare?A sentirsi padrone del mondo o solo della propria vita per un giorno, come si fa a illudersi ancora?E gli altri trecentosessantaquattro?Quelli che ci vedono sparate, strangolate, soffocate, accoltellate, noi e quello che abbiamo generato per la sola colpa di averlo generato.Qualche volta solo picchiate, offese, violentate, ignorate, per fortuna, ma come si fa a illudersi ancora?Il fatto è che noi, la voglia di ridere, di essere felici, di sperare, la portiamo scritta nel Dna, non potremmo generare la vita se non avessimo questa spudorata incoscienza, questa innata capacità di perdonare, di passare sopra, di amare il frutto del seme di chi ci umilia, ogni giorno con la sua arroganza e la sua ottusità e che magari a forza ha seminato la nostra terra.È questa forza della natura che chiede di essere festeggiata, festeggiata con i colori della primavera e non con una festa che diventa sempre più monocromatica e smunta. Sarà che come sempre e in un batter d’occhio si è sconvolto e banalizzato il significato di una giornata che istituita ufficialmente nel 1977 su decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, voleva riconosce «gli sforzi della donna in favore della pace e la necessità della loro piena e paritaria partecipazione alla vita civile e sociale» ma che già prima era stata scelta da gruppi di donne per ricordare tragedie come le morti sul lavoro di più di cento operaie o per chiedere la fine di un conflitto.Ma io coltivo un sogno. Il sogno di un otto marzo senza mimose in cui non si elenchino le solite malefatte dei maschi, in cui i giornali non si riempiano di spumeggianti proposte per la serata e alla pagina successiva di orrore e di sangue, in cui il corpo delle donne non susciti smanie di possesso ma desiderio di cura.Un otto marzo in cui ogni donna sia figlia di tutti gli uomini e madre di tutta l’umanità, dove nascere femmina sia una fortuna e non una maledizione, dove fare la donna sia la parte più bella e più antica del mondo, dove a una bambina non sia chiesto niente in più e niente di diverso da quello che si chiede a un suo coetaneo. Un otto marzo senza quote rosa perché metà dell’universo è rosa, ma dove la politica parli anche al femminile, con un mondo del lavoro dove le donne non siano le ultime a entrare e le prime a uscire, dove la fatica femminile sia riconosciuta e ricompensata come quella maschile, dove l’intelligenza e le intuizioni delle donne non debbano sgomitare e urlare per essere accolte.Un otto marzo in cui i bambini, gli anziani, i disabili e le persone fragili in genere non debbano sempre e solo contare sulla sconfinata buona volontà delle donne, un mondo dove un nuovo welfare rivisto, ricostruito e rifinanziato conceda alle donne lo spazio per la cura di sé e non sempre e solo degli altri.Un otto marzo in cui Trenitalia non faccia sconti sui biglietti e non si entri gratis nei musei, in cui non si debba dire “grazie” perché nessuno si sente in dovere di regalarti niente perché non ha niente da riparare, dove a dire grazie sia chi ti porge la mimosa, dove un mazzo di fiori rappresenti solo la voglia di vedere il sorriso negli occhi di chi lo riceve. Un otto marzo in cui le mimose restino sull’albero a cui si è impiccata l’ipocrisia di un giorno che spente le luci e chiusa la porta di casa lascia tutto come prima.Un otto marzo che sia preludio di un cambiamento radicale che non duri solo per tutti i miei giorni, ma anche per quelli delle figlie e di tutte le nipoti che verranno.

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