E c’è ancora chi benedice le occupazioni...

Hanno fatto parecchio rumore le considerazioni rilasciate di recente su “La Stampa” di Torino dal neosottosegretario all’Istruzione Davide Faraone secondo cui le occupazioni sono «le ore più formative ed esperienze di grande partecipazione democratica». Alla faccia delle «ore più formative». Personalmente non sono d’accordo. Certi comportamenti non vanno né supportati, né tollerati. L’occupazione di un istituto scolastico da parte degli studenti è da ritenere sempre e comunque un comportamento dirompente, un rituale anacronistico, incomprensibile e insopportabile che finisce col dividere anche i genitori tra sostenitori e oltranzisti, tra coloro che si schierano con i figli per le rivendicazioni che avanzano e coloro che vedono nelle nuove idee la via maestra per portare al centro dell’attenzione del mondo politico e sociale le problematiche della scuola. Da fenomeno del tutto eccezionale qual era, è finito col tempo per diventare una tradizione movimentista che annualmente si ripropone guarda caso sempre nello stesso periodo: da metà novembre fino alla pausa natalizia. Un rito liberatorio che resiste solo da noi e che non trova riscontro in nessun altro paese civile. Un rituale stagionale che per i ragazzi delle classi prime, presi dall’aria che si respira in un istituto superiore, diventa un vero e proprio rito d’iniziazione. Non si è studenti delle superiori se non si passa prima da un’esperienza di occupazione. Per fortuna con le vacanze di Natale finisce ogni velleità di rivendicazione o pseudo tale. Evidentemente il panettone porta consiglio talché alla ripresa delle lezioni tutto rientra nella razionalità dei rapporti con l’aggiunta della preoccupazione, nei ragazzi, di rincorrere il periodo perso per mettersi in linea con le interrogazioni in vista delle scadenze valutative. Ma il cammino risulta faticoso non fosse altro che per il corpo appesantito dai pranzi luculliani del periodo natalizio. Anche quest’anno non è mancato il pretesto. Oggi a spingere gli studenti alle occupazioni sono i tagli annunciati nella legge di stabilità e il «Jobs Act» ritenuti evidentemente condizioni inaccettabili tali da giustificare le «ore formative» trascorse nell’istituto occupato tra suonate, ballate, mangiate, e perché no anche qualche “pomiciata” nel sacco a pelo. Tutto fa brodo. Ma si sa col tempo l’ingegno studentesco si aguzza e allora ecco che sul sito «studenti.it» sono pubblicate le istruzioni per organizzare una buona occupazione senza incorrere in grossolani errori organizzativi o peggio ancora in precise responsabilità anche di natura penale. Da una quindicina di giorni il tam tam messo in atto dagli studenti, oggi reso più semplice da un potenziale tecnologico a disposizione di tutti, le scuole occupate si moltiplicano qua e là in modo esponenziale. Purtroppo come ogni anno non sempre queste gravi interruzioni dell’attività didattica seguono un rituale caldamente consigliato. In un liceo di Napoli (la notizia è riportata su Skuola.net) i rapporti tra studenti sono decisamente tesi. Un breve filmato prodotto da uno studente diciassettenne, dunque minorenne, ma riconosciuto come il «comandante in capo», inviato tramite whattsapp di gruppo, annuncia con tono e parole decisamente da guappo, che non saranno tollerati ragazzi disobbedienti all’ordine di occupare la scuola. «Chi si rifiuta – è detto nel messaggio audio-visivo - se la vedrà con me. Qui comandiamo noi. Se non venite vi vengo a prendere io fino a casa». Decisamente convincente! Per il nostro guappetto da strapazzo il messaggio è ritenuto un semplice invito sia pure espresso con un tono deciso, mentre per qualche suo compagno più che di invito si tratta di minacce. Per alcuni sono schegge impazzite del movimento studentesco, per altri sono le conseguenze di una tolleranza che ormai è diventata debolezza dilagante a motivo del quale molti genitori si dimostrano benevoli se non addirittura complici dei figli talvolta responsabili di azioni violente. E i presidi? A sentire i miei colleghi delle scuole occupate, in tutti gli ambienti vige oramai un sistema di tolleranza totale al punto da sentirsi inermi, privi e privati delle stesse capacità difensive. Contribuisce per questo anche una certa cultura massmediatica (il pensiero va ad una nota fiction televisiva trasmessa di recente) che rende l’occupazione di una scuola un’esperienza gioiosa e divertente. Che disastro! Nella mia scuola gli studenti non hanno mai occupato fondamentalmente per due motivi. Il primo grazie a un dialogo franco, rispettoso dei ruoli e proficuo nei contenuti, il secondo perché non sono mai mancati momenti assembleari con personaggi della società civile, della cultura religiosa, esempi di vita e decisamente formativi. E’ impensabile che certi atti possano rimanere senza conseguenze, quasi fosse un gioco di ruolo dove gli studenti si scoprono rivoluzionari, i docenti imputati, i presidi oppressori e i genitori alleati pronti ad attivarsi per condividere il disagio dei figli al punto da portare a scuola la «pasta al forno» pur di tener alto il morale dei figli. Sempre a Napoli, da dove pare sia partita quest’anno la scintilla che ha innescato la reazione a catena delle occupazioni, molti miei colleghi nonostante abbiano presentato formale denuncia presso gli organi di polizia con richiesta di intervento di sgombero, si sono sentiti rispondere che l’occupazione di una scuola non rientra nelle priorità di intervento. E’ come dire che interrompere un pubblico servizio, chiudere portoni e cancelli al preside e al personale amministrativo, impedire a docenti di entrare in una scuola per svolgere il proprio compito, impedire a studenti contrari all’occupazione di entrare e assistere alle lezioni, sia una cosa da gestire con relativa tolleranza pur sapendo che simili comportamenti sono penalmente perseguibili secondo il nostro codice civile. Quasi che l’occupazione da grave atto consumato venga degradato a semplice problema interno la cui soluzione è demandata agli stessi presidi che però non hanno più la forza di opporre il rispetto di regole e leggi in fatto di abuso dell’esercizio della libertà. Un concetto molto pericoloso che finisce con legittimare ciò che legittimo non è. Non solo. Questo atteggiamento viene vissuto spesso in modo libertino fino a sentirsi chiamati a compiere una missione che spesso passa da atti violenti contro persone e cose, distruzione di apparecchiature e patrimonio di pubblica utilità, ruberie di ogni genere. Ma secondo la nuova cultura dominante tutto va tollerato, capito e compreso. In fondo sono esperienze di vita.

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