E adesso esportiamo immondizia

Esportare spazzatura insieme ai grandi vini, alla moda e ai profumi non è tra le immagini più invidiabili che il nostro Paese possa offrire. All’estero ci ridono alle spalle e si fregano le mani. Perché loro con la nostra spazzatura ci guadagnano due volte. Non solo perché dobbiamo pagarli, profumatamente, per il “favore” che ci fanno accettandola. Ma perché nei loro Paesi dai nostri rifiuti ricavano poi energia a buon mercato. È nata così la storiella, purtroppo amara realtà, degli italiani incapaci di smaltire la mondezza che producono. E ne produciamo davvero parecchia, spreconi come siamo di incarti e di imballi e visto che in molte città la raccolta differenziata è di là da venire. Roma come Napoli. Anche per la capitale – in piena emergenza, con la discarica di Malagrotta ormai al collasso (la chiusura definitiva è prevista tra giorni) – si apre la prospettiva di trasferire i propri rifiuti all’estero, come già accade per la città partenopea da dove i bastimenti, una volta carichi di emigranti, partono adesso puntuali con il loro carico di spazzatura diretto in Olanda o in Svezia. Viaggio e smaltimento a spese, ovviamente, dei contribuenti napoletani.La spazzatura romana dovrebbe andare in Germania a bordo di treni o ugualmente, via nave, in Olanda. Il piano “export” è visto di buon occhio dai diretti responsabili, almeno da alcuni (perché al solito, sulla scena rifiuti, dei cosiddetti responsabili ce n’è una caterva) ma non dal sindaco Alemanno e dalla presidente della Regione, ai quali forse disdegna esportare questo bel biglietto da visita di Roma capitale. “Sarebbe una sconfitta per tutti”, ha dichiarato Renata Polverini. Intanto si allunga la lista dei siti prescelti, e ovviamente bocciati, che nei dintorni di Roma dovrebbero sostituire la discarica di Malagrotta. Pian dell’Olmo, Corcolle, Pizzo del Prete, Monte Carnevale... e ce ne sarebbero altri dodici. Ma che vuoi elencare, se nessun sito aggrada ad amministratori e cittadini dei Comuni interessati, sempre pronti al primo allarme a scendere sul sentiero di guerra, a bloccare le strade, a inscenare manifestazioni di protesta adducendo che un sito è vicino alla zona archeologica, un altro è vicino al Tevere, un altro alle coltivazioni biologiche, un altro alle scuole, un altro all’ospedale... L’Italia paga lo scotto di non avere nella propria morfologia zone desertiche, ma se anche ne disponesse, è molto probabile che c’è chi troverebbe da ridire se si dovesse solo prospettare l’eventualità di aprire nel deserto una discarica, o costruire un inceneritore...Tranquilli, non c’è da preoccuparsi. Da buoni italiani confidiamo sempre di trovare all’estero i fessi (che poi si rivelano i verbi furbi) pronti a risolvere per noi i problemi di cui non sappiamo, ma soprattutto non vogliamo, farci carico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA