Dove sono i De Gasperi e i Mattei?

La mia casa è frequentata, (ed è un ambito privilegio) da soggetti giovanissimi: i miei nipoti, i loro amici, qualche allievo. Parlano di scuola, di sport, di gite, di viaggi, di musica, e visitano, con sempre maggior frequenza, il web, utilizzando i loro marchingegni elettronici. Di tanto in tanto, ora più frequentemente, qualcuno di loro, scorrendo i titoli di un quotidiano abbandonato sul tavolo in cucina, o ascoltando fugacemente un notiziario televisivo, si lascia sfuggire l’ovvia osservazione: “c’è qualcosa che non va”.Raccolgo in silenzio la frase, cogliendone l’ingenuo ottimismo (a sedici anni non si può essere pessimisti) e taccio sulla desolante constatazione che non c’è una sola cosa che va per il corretto verso in questo Paese pieno di sole, accarezzato dal mare, ma sempre più indifferente ai loro problemi, alle loro istanze e sempre più drammaticamente spaccato in due.Voglio deludere quel tale che avendo letto l’ultima frase, abbozza un’espressione di compatimento, ritenendomi già pronto a inoltrarmi sul consueto argomento delle due Italie, quella borbonica di Napoli e Palermo e quell’altra austro-sabauda di Pordenone e Torino.Non è mia intenzione, stavolta, descrivere l’intraprendenza dei lombardi o la capacità organizzativa degli altoatesini per contrapporle alla rumorosa confusione dei campani o all’atavica indolenza dei siciliani. L’Italia divisa di cui, nel seguito, voglio occuparmi è, invece, l’Italia delle due “effe”, quella dei “fessi” e l’altra dei “furbi”.I primi sono coloro che continuano a svolgere con impegno la propria attività, ad assumersi le proprie responsabilità, a sperimentare sacrifici, pagando al centesimo tutte le tasse imposte da più enti, dallo stato al comune di residenza, con alto senso civico, o rassegnata consapevolezza. Costoro sono indistintamente dislocati su tutto il territorio nazionale, da Pantelleria a Trieste, nelle città, nei paesi, nelle campagne, in pianura e in montagna e, a fronte del loro attaccamento al lavoro, e alla famiglia e della loro incorruttibile lealtà fiscale, ricevono servizi la cui qualità è in vertiginoso deterioramento. In mezzo a questi umili e onesti “grulli” si sta facendo sempre più numerosa la sub categoria dei pensionati, che vedono continuamente erosi i loro scarsi emolumenti, e quella dei giovani che vedono reiteratamente delusi i loro tentativi alla ricerca di un’occupazione.I secondi che si autodefiniscono “furbi” e di tal “titolo” fanno smaccata ostentazione, allignano ormai in qualsiasi angolo dello Stivale, senza alcuna distinzione di rango, di ceto o professione. Tra di essi non è possibile riconoscere sotto-classi, giacché l’unica, inequivocabilmente attribuibile e che li accomuna tutti, è l’affollatissima schiera dei delinquenti. Volutamente lascio da parte il sordido mondo del malaffare mafioso e mi chiedo come definire altrimenti il tesoriere di una formazione politica o il consigliere regionale che imbosca danaro pubblico in remoti conti esteri, accumulando nel frattempo e con l’uso della medesima risorsa, ingenti ricchezze personali in patria. E sulla medesima frequenza, che qualifica alternativa attribuire al funzionario di un istituto di credito che riscuote, per il proprio tornaconto, tangenti milionarie, nascondendole nel vorticoso giro dell’alta finanza? E ancora, in che ottica inquadrare l’imprenditore che fa bancarotta dopo aver svuotato il patrimonio aziendale trasferendo valuta nelle banche elvetiche, o il manager che si accaparra una commessa oltre confine, dividendo poi con il cliente corrotto la cospicua torta del sovraprezzo? E cosa dire dei dirigenti di importanti istituzioni che impunemente continuano a consumare reati di peculato e appropriazione indebita, dichiarandosi invariabilmente innocenti? Si appalta un’opera per potenziare un impianto sportivo? Si assegnano forniture di presidi sanitari per una struttura ospedaliera veneta o calabrese? Si bandisce una gara per la cancelleria di un Ministero, di una Provincia ligure o abruzzese? Il primo atto di. un qualsiasi evento per il quale si movimentano soldi consiste nello stabilire l’entità della “percentuale”.Sbagliavo prima nel non riconoscere sottocategorie di altri “furbi” in affiancamento a quella dei politici, dei banchieri, degli imprenditori disonesti e dei pubblici amministratori senza scrupoli, già nominati: c’è, in aggiunta, quella degli artigiani che riscuotono il compenso, per sostituire la vasca con una doccia, in nero; c’è quella di certi avvocati che (incredibile per uomini di legge) accettano solo contanti e non emettono fatture per prestazioni espletate in tribunale ( come diavolo ci riescono?); c’è quella degli specialisti che fanno visite mediche intramurali e poi avviano i pazienti nella clinica privata e convenzionata, di cui sono principali azionisti; c’è quella dei commercialisti che, spulciando tra le gazzette ufficiali, trovano la giusta escamotage per truccare i bilanci; c’è quella dei pubblici dipendenti che vanno in ufficio, timbrano il cartellino, girano i tacchi e si imbucano al bar o al mercato del pesce, dove si incontrano con i loro compari, falsi invalidi, dichiarati completamente ciechi, già arrivati in bicicletta o in scooter; c’è quella dei portaborse che guaiscono, scodinzolando, dietro le terga del nutritissimo esercito di onorevoli, ex parlamentari, capi di gabinetto, segretari, sottosegretari, capidivisione, addetti stampa, assessori, presidenti e vicepresidenti di assemblee a vario titolo istituite…Ma piuttosto che insistere sulla facile ricerca di altri , squallidi “professionisti” dell’illecito, voglio concedermi due considerazioni conclusive.All’indomani dell’unità d’Italia, il giovane regno dovette fronteggiare un’emergenza nazionale passata alla storia sotto il termine “brigantaggio” I briganti di fine Ottocento derubavano prevalentemente i benestanti, privandoli di beni non sempre legittimamente acquisiti, risparmiando i poveracci, quasi a imbiancare i loro misfatti con una “mano” di moralità. I moderni “briganti” di cui abbiamo stilato un elenco incompleto, rubano voracemente i soldi dei poveri contribuenti e sottraggono risorse alla ricerca, alla cultura, all’istruzione e, soprattutto, all’avvenire dei nostri ragazzi. Il reato commesso da costoro è d’inaudita gravità, ma trova acquiescenza, come se costituisse un’invariante del sistema.A guerra finita, nel tentativo di asciugare le lacrime di madri e vedove, un tale Alcide de Gasperi si presentò dignitosamente con il cappello in mano davanti ai vincitori, ricevendone applausi. Tornando indietro incontrò un uomo del futuro, il cui nome era Enrico Mattei, capace di trasformare ogni azione in un progetto, cercando alacremente sviluppo e benessere attraverso l’ingegno fecondo e costruttivo. C’è oggi qualcuno che possa dichiarare a testa alta di averne raccolto il testimone? Francamente non lo vedo e sarà difficile che lo troverò da qui a domenica 24 febbraio prossimo venturo.

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