Dove porta la mancanza di valori?

«Non ci sono più valori» ripete continuamente tra le lacrime un’insegnante dell’Istituto Professionale Morvillo-Falcone di Brindisi dopo aver assistito alle conseguenze del vile attentato in cui ha perso la vita una ragazza, Melissa Bassi, e mandato all’ospedale, tra atroci sofferenze anche alcune altre studentesse poco prima dell’avvio delle lezioni. «Non ci sono più valori» forse perché oggi sono presi a riferimento nuovi modelli sociali e culturali alternativi a quelli che hanno accompagnato intere generazioni e che appaiono ai più oggettivamente rivoluzionari rispetto all’ordine sociale costituito. Un mondo che non smette di insegnare ai ragazzi com’è facile raggiungere certi traguardi salvo poi scoprire che i traguardi nella vita sono ben altri. Una realtà in cui gli adulti agiscono spesso per secondi fini, tramandando ai ragazzi una cultura del pressappoco, del tutto e subito secondo i canoni di una condotta che nulla ha a che vedere con la fatica, il dovere, il sacrificio. «Non ci sono più valori» perché capita spesso di trovarsi di fronte a persone che non provano più entusiasmo in quello che fanno. Un mondo adulto che umiliato e indebolito si trascina stancamente senza né arte né parte, vivendo in piena solitudine le molteplici contraddizioni della società senza, tuttavia, trovare la voglia e i mezzi per affrontarle. Oggi si preferisce inseguire, sia pure con innaturale pazienza, soluzioni più rispondenti a personali aspettative, ben sapendo che ciò potrebbe mettere a rischio una cultura faticosamente costruita e lasciata in eredità dai nostri genitori. E se distruggiamo ciò che abbiamo ereditato, cosa lasciamo ai nostri figli? «Non ci sono più valori» perché così è solito dire chi, da incredulo testimone, assiste a fatti di inaudita violenza. E’ l’ora del male che si insinua, senza ostacolo, in certi tessuti sociali lasciati andare alla deriva e che rischia di diffondersi a macchia d’olio fino a penetrare in ambiti sociali una volta ritenuti impenetrabili. E tra questi ci sono le istituzioni educative per eccellenza: la famiglia e la scuola. «Non ci sono più valori» perché piegati dallo sconforto ragazzi, genitori ed educatori rischiano di lasciarsi andare a nuove e pericolose paure. Sapere di non poter più contare su quelli che un tempo rappresentavano i capisaldi istituzionali messi a guida e sostegno di un difficile cammino di crescita, potrebbe condurre i giovani a cercare le risposte su particolari dinamiche create dalla società per certi versi alla deriva. La stessa scuola potrebbe rappresentare per i giovani, ostinatamente confusi, l’occasione adatta per dimenticare il reale valore educativo che il luogo rappresenta. In tal caso deviazioni comportamentali, azioni trasgressive, atteggiamenti sconsiderati assumerebbero un semplice significato di risposte cercate per situazioni confuse. «Non ci sono più valori» perché s’è persa la bussola, perché s’è perso l’orientamento spirituale che ha accompagnato l’uomo per intere generazioni. L’orgoglio libertino ha preso il posto della morigeratezza dei costumi negli stessi comportamenti sociali. Una filosofia di vita che ha entusiasmato più del dovuto gli stessi ragazzi catturati dai nuovi idoli ritenuti dai più, a torto o a ragione, occasione di successo, di affermazione, di arricchimento, lasciando a poche voci nel deserto la preoccupazione di farli accompagnare da impegno, sacrificio, rinunce e sofferenze. Già Socrate nel V° secolo a. C. si mostrava alquanto preoccupato per le nuove generazioni tant’è che spesso si lamentava dicendo: «I nostri giovani amano il lusso, ridono dell’autorità, non si alzano in piedi davanti a un anziano.. ». Eppure non tutti i giovani sono così. «Non ci sono più valori» perché in molti ci siamo adoperati di smerciare paradisi artificiali, illudendo i ragazzi di recuperare così vitalità e intelletto salvo poi vederli indeboliti e abbandonati al loro destino. Situazioni di vita che hanno fatto smarrire a molti il senso di vivere la famiglia, il gruppo, la comunità, la percezione dell’altro come umana risorsa visto che la scelta è caduta su una più comoda visione dell’umana pietà. Ma per certe disperate situazioni va bene pure questa. Intanto però nuove tragedie accompagnano la vita di tanti ragazzi che fuggiti da un naturale rapporto sociale fatto di amicizie, sorrisi ed errori, cercano un senso alla vita in esempi di vita senza senso. «Non ci sono più valori» e questo preoccupa moltissimo i giovani, anche se non lo danno a vedere. Forse non ci rendiamo conto che noi adulti stiamo costruendo attorno ai giovani un fossato che si pensa costruito a loro difesa, mentre in realtà quel fossato tende a renderli più soli, a distanziarli dagli adulti fino a farli sentire estranei, lontani dai nostri loschi interessi. Questo fa sì che cresce in molti adulti la voglia di liberarsi delle loro rivendicazioni in quanto ritenute in contrasto con una logica del tutto diversa. In realtà di diverso c’è solo un’amara constatazione. I ragazzi diventano sempre più estranei al nostro modo di pensare, di guardare, di sentire la vita, la realtà, il mondo. E quando il fossato si fa più profondo, allora più pericolosa diventa la relazione tra generazioni fino a quando l’odio cieco e covato prenderà il sopravvento, mentre il gesto inconsulto oltre che attuazione verrà visto come una soluzione e la strage all’Istituto Professionale Morvillo-Falcone di Brindisi è un drammatico esempio. Di qui in avanti non ci resta che ripensare a certi valori in grado forse di aiutare tutti a ritrovare uno stile di vita che non possa fare a meno, ad esempio, di dedicare più tempo ai figli, di ripensare alla comunità come una grande occasione di crescita sociale e di realizzazione professionale. Non solo. A ridare nuova dimensione ai sentimenti laddove si sono insinuati i frivoli sensi; a ridare fiato alla famiglia così precocemente messa in disuso; a riscoprire l’importanza di affidarsi a determinati punti fermi necessari per affrontare una debolezza culturale che sente i valori, ma non li possiede. Tutto questo contribuisce a ridare senso all’opera educativa che ogni generazione trasmette alla successiva. «Una generazione educa l’altra» ci ricorda Kant. E’ un modo come un altro per contrastare il marcio che avanza e che ha rappresentato da sempre il cruccio degli educatori.

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