Doppio danno per il petrolio in picchiata

Chi piange di più per il calo dei prezzi del petrolio? Chi sta soffrendo, dopo aver tanto goduto negli anni passati? I primi che passano per la mente sono gli sceicchi arabi, costretti a fare qualche sacrificio – meno accessori esclusivi nelle Rolls Royce nuove – a causa di un oro nero che veleggia attorno ai 30 dollari al barile: un terzo di un paio d’anni fa. Ma non sono loro i primatisti delle lacrime. Allora saranno i russi, i venezuelani, i nigeriani, insomma tutti quegli Stati che sostengono in modo quasi totale le economie interne grazie alle esportazioni petrolifere. O quelli che devono estrarre petrolio in lande desolate o in mezzo agli oceani, sostenendo costi superiori agli stessi ricavi. Sì, stanno piangendo. Soprattutto le popolazioni, ché i ricchi locali al massimo si commuovono: mangiavano ieri, mangeranno domani. Ma ancora non ci siamo, nell’hit parade delle lacrime per il petrolio versato.Allora saranno i benzinai: un costo è prendere due euro per un litro di verde, un conto è venderlo alla metà. Certo, molte stazioni di servizio stanno arrancando. Quelle autostradali – che mantengono prezzi assurdi; e meno le auto si fermano lì, più li aumentano in una spirale perversa – sono quasi tutte in agonia.I gestori delle pompe guadagnano una frazione ridicola sulla vendita di un litro di carburante: circa 5-6 centesimi. Un valore fisso che ora non li danneggia più di tanto: ma raramente si è visto benzinai arricchirsi con il loro lavoro. In più, non è vero che il basso costo del gasolio spinge a consumarne di più: non sta accadendo, segno che sono certamente gli utenti a sorridere di più.Ma chi piange a dirotto, allora? Le raffinerie no: meno costa il petrolio, più guadagnano sui prodotti di raffinazione. I costruttori di impianti estrattivi e di condutture certamente non ridono. Nessuno investe quando l’offerta di petrolio è straripante rispetto alla domanda. Ma a vincere la gara di chi ha il fazzoletto più bagnato è lo Stato. Che per ogni litro di benzina e di gasolio venduto, si prende la fetta più grossa sotto forma di accise varie e di Iva applicata sul prezzo maggiorato dalle accise (una tassa sulla tassa, insomma).I governanti di mezzo mondo – soprattutto gli italiani, che in tema fiscale ci vanno giù pesantissimi – fingono di dolersi quando vedono i prezzi del petrolio impennarsi. Ma sotto sotto si fregano le mani: decine di miliardi di euro che entrano nelle casse statali in modo facile, indolore (non pensi di pagare le tasse, facendo il pieno) e occulto.Chiaro che il drastico declino degli incassi fiscali sulla vendita dei circa 35 miliardi di litri di carburante erogati in Italia, fa venire più di un mal di pancia a chi gestisce le finanze pubbliche. Sono molti miliardi di euro che rimangono nelle tasche degli italiani, ohibò. E le indagini economiche ci dicono che buona parte di questo tesoretto non viene speso in altro modo ma finisce appunto o in risparmio o in saldo dei debiti pregressi. Insomma un doppio danno, perché se quei soldi alimentassero i consumi, s’incrementerebbero le entrate dell’Iva, ci sarebbero maggiori redditi (quindi Irpef e contributi), si darebbe fiato all’economia e alle aziende (quindi Ires e quant’altro). I soldi usciti dalla porta, tornerebbero dalla finestra.Invece alla finestra ora ci stanno i soprattutto i ministri delle Finanze europei, a sperare che la “nuttata” passi. Almeno per loro.

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