Dopo lo Stato adesso tocca alle coscienze

Dodici sono gli articoli del decreto legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri contro la violenza di “genere”. Dodici, quanti sono i mesi di un anno, in cui non passa settimana che le cronache non ci riferiscano di gravi episodi di violenza che vedono protagonisti donne e bambini, i soggetti più deboli della società.Il Governo accantona per un giorno le beghe politiche di quest’estate (sotto più versi) particolarmente rovente per dare un “segnale di cambiamento radicale”, come lo ha definito il premier Enrico Letta. Un cambiamento che è giusto venga scandito politicamente da una legge dello Stato che difenda realmente le donne, ma che deve essere accompagnato da un reale e profondo cambiamento culturale, senza il quale queste nuove disposizioni rischiano di non trovare pieno compimento. Viviamo in una società in cui la brama di possesso arriva a imbruttire l’uomo, al punto tale da portarlo a macchiarsi anche di orribili delitti. Tanto più orribili quando le vittime sono le più deboli e indifese. È fondamentale oggi recuperare la dimensione del rispetto reciproco, che si è andata via via perdendo. Occorre non dimenticare mai, nemmeno per un istante, che chi abbiamo al nostro fianco è una persona, non una nostra proprietà. Occorre ricordare che il legame di affetto, di amicizia o di amore che ci unisce è frutto di un dono. È come un filo invisibile di cui noi abbiamo solo uno dei due capi. L’altro è posto nelle mani di chi ci sta accanto. E quando i venti avversi della vita fanno sì che, per ragioni a volte incomprensibili, uno di questi due capi cada per terra, occorre spendere le nostre energie per aiutare l’altro - con rispetto e tenerezza - a raccogliere il filo sfuggito di mano. Non dobbiamo trasformare il filo che ci ha unito in un rapporto vicendevole di amore e affetto, in una sorta di cappio (che in molti casi, purtroppo, si rivela mortale) per tenere stretto a noi l’altro, che ai nostri occhi non è più una persona, ma diventa una proprietà da non lasciar scappare.E se quel filo caduto in terra, sgualcito e provato dalle vicende della vita non viene ripreso in mano dall’altro? Può accadere, certo. Molto più spesso di quanto possiamo immaginare. E fa male, molto male. Ma se sappiamo rispettare veramente chi abbiamo accanto, lo lasceremo andare. In quel momento in cui tutto sembra crollarci addosso e in cui tutto sembra essere finito, avremo gettato un seme per far nascere un nuovo rapporto e per far germogliare una nuova forma di dialogo. Non saremo più uniti dal filo di “prima”, ma quel nuovo filo, quel nuovo rapporto, sarà comunque qualcosa di unico, una nuova chance su cui investire le nostre energie.Nel rapporto con l’altro è necessario darci il tempo per dialogare, per confrontarci, per rinsaldare i rapporti di affetto che ci uniscono e che quotidianamente vengono lentamente erosi dalle difficoltà dell’esistenza.Ed è fondamentale che insegniamo alle nuove generazioni questa cultura, a rispettare l’altro, a non considerarlo un oggetto da possedere a ogni costo. Lo dobbiamo fare a parole, certo, ma lo dobbiamo fare soprattutto coi fatti. Dobbiamo essere testimoni noi per primi di uno stile di vita che vale la pena essere vissuto.

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