Una decisione delicatissima - che investe ragioni psicologiche, emotive, affettive, e coinvolge profondamente l’universo culturale e simbolico di ognuno di noi - quella di donare il proprio corpo post mortem per destinarlo ad attività di studio, ricerca, e ad esercitazioni di dissezione anatomica. Al riguardo si è pronunciato il Comitato nazionale per la bioetica nel parere “Donazione del corpo post mortem a fini di studio e ricerca”, approvato lo scorso 19 aprile e pubblicato il 20 maggio. “La donazione del corpo post mortem – si legge nel documento – si ispira a un principio di solidarietà verso gli altri, perseguita nel caso specifico attraverso la promozione dello studio e della ricerca e indirettamente la tutela della salute”, ma deve essere “espressione di una libera e consapevole decisione del soggetto”. Il Cnb definisce “inaccettabile” la norma tuttora in vigore, prevista con l’articolo 32 del Regio Decreto del 1933, che consente l’utilizzo per le esercitazioni di studenti e specializzandi e l’aggiornamento degli specialisti, di cadaveri di persone sconosciute o prive di relazioni parentali e amicali, che nessuno ha richiesto per la sepoltura. Per questo, il Comitato ritiene che debba essere rispettato rigorosamente il “principio del consenso consapevole e informato” del donatore e non debba più essere applicato il meccanismo del silenzio – assenso. Del parere del Cnb, sollecitato il 16 aprile 2012 da Eugenia Roccella, allora componente Commissione Affari sociali alla Camera dei deputati, abbiamo parlato con Antonio G. Spagnolo, direttore dell’Istituto di bioetica dell’Università cattolica, e con Palma Sgreccia, docente di bioetica all’Istituto internazionale di Teologia pastorale sanitaria “Camillianum”.“Da tempo – ci spiega Antonio G. Spagnolo - giacciono in Parlamento diversi disegni di legge che hanno tentato di disciplinare la materia” senza mai essere arrivati all’approvazione, e il Cnb “ha ripreso nel suo parere gran parte dei punti contenuti in quei testi, quasi a stimolare il legislatore a voler riprendere l’iter parlamentare per regolamentare finalmente in modo chiaro la materia”. Le questioni etiche evidenziate dal Comitato, prosegue Spagnolo, “si riferiscono sostanzialmente alla necessità di conciliare le esigenze scientifiche e didattiche con il rispetto del cadavere che, seppure non più persona, mantiene un forte legame con le persone con cui si è relazionato in vita ed è comunque espressione simbolica e affettiva di chi egli è stato”. Per questo, forse, l’uso del corpo morto per finalità di ricerca e di studio è stato riservato in passato proprio ai “cadaveri abbandonati e negletti”. Circostanza dalla quale muove il Cnb per affermare “con chiarezza la non eticità” della citata norma contenuta nel Regio Decreto del 1933, mai abrogata: “non si possono destinare alla ricerca alcuni cadaveri solo perché nessuno se ne occupa – chiarisce il bioeticista -: tale destinazione deve essere l’espressione di una volontà esplicita del soggetto quando era in vita”. Di qui, secondo Spagnolo, “l’enfasi posta dal parere sulla solidarietà e sulla cultura scientifica finalizzata al progresso medico, che devono essere alla base di tutta la questione”. Perché ogni persona deve potersi “riconoscere come un ‘donatore’ come uno, cioè, che durante la vita in piena libertà e consapevolezza, auspicabilmente condividendo la decisione con i familiari, disponga di donare il proprio corpo alla scienza, donazione che diventerà effettiva dopo la morte”. Nel dire “no” al principio del silenzio-assenso, il Comitato ribadisce inoltre “l’importanza dell’autodeterminazione del cittadino rispetto ad una visione ‘pubblicistica’ della donazione finalizzata alla salute pubblica”. La società, da parte sua, “dovrà fare in modo – conclude Spagnolo - di disporre tutta l’organizzazione necessaria affinché questa volontà non vada disattesa, e al contempo venga salvaguardata la dignità di un corpo appartenuto a chi generosamente in vita ha potuto pensare a tale possibilità”. Il testo è in linea con la necessità di “garantire una più efficace tutela della salute”, secondo gli artt. 9 e 32 della Costituzione, osserva Palma Sgreccia. “La logica proposta dal documento – sottolinea -, non è quella del primato della collettività sul singolo, né quella della reificazione del corpo, ma quella della donazione consapevole”. “La donazione del proprio corpo per lo studio e la ricerca – precisa la bioeticista - non esclude la donazione degli organi finalizzata al trapianto; questa seconda forma di donazione, pur avendo ovviamente la precedenza, non è quindi di impedimento alla prima”.
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