Dobbiamo parlare anche in tedesco?

Gli ultimi giorni sono stati il culmine dell’incertezza che sta caratterizzando la situazione internazionale. La rinuncia dei partiti greci a siglare un’alleanza di governo e la conseguente decisione di tornare alle urne testimoniano la debolezza degli strumenti di governance internazionale messi in atto, in particolare di quelli europei. Siamo di fronte all’ulteriore aggravarsi di una crisi nata ormai tre anni fa, quando l’ex premier greco Papandreu, appena eletto, denunciò l’esistenza di falsi nella contabilità ereditata dal governo precedente e dichiarò l’insostenibilità finanziaria del governo e del Paese senza la solidarietà europea. In quel momento si calcolava che bastassero 20 miliardi di euro per attivare un fondo di stabilità europeo che si facesse carico delle fatiche greche e desse ai mercati un segnale di stabilità e autorevolezza. Lo spazio agli speculatori, che lucrano proprio quando con la sfiducia aumentano i rendimenti dei titoli considerati rischiosi, sarebbe stato chiuso e i Paesi membri dell’Ue avrebbero risparmiato circa 600 miliardi (tanti quanti si calcola siano necessari oggi, sempre che la situazione non peggiori) che si sarebbero potuti utilizzare per dare stimoli espansivi all’economia. Il cancelliere tedesco Angela Merkel ha sistematicamente rifiutato qualunque intesa sino a pochi mesi fa, quando ha finalmente consentito la costituzione del meccanismo di stabilità europea, che peraltro entrerà in vigore solo a luglio. Tuttora da parte del governo tedesco rimane non chiara la disponibilità a un reale intervento in soccorso della Grecia. Di fronte all’annuncio di nuove elezioni il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, ha dichiarato che per la Grecia il piano di austerità resta l’unica opzione.Che il piano proposto alla Grecia, scritto quasi sotto dettatura tedesca per poterne avere l’appoggio, sia inadeguato ormai è opinione diffusa. Un Paese strozzato dalla crisi, che ha bisogno di rilanciare la domanda interna per riattivare una spirale espansiva che porti a nuova occupazione, non può uscirne solo con tagli della spesa, licenziamenti nel settore pubblico, contrazione di ogni protezione e di ogni sostegno al reddito. Il mito dell’uscita dal debito come strada rapida obbligata in tempi di recessione non vale per le imprese (che quando hanno bisogno di rilanciarsi s’indebitano per finanziare investimenti industriali che permettano di essere più competitive e aprire nuovi mercati) e non si capisce come possa valere per uno Stato. Un percorso che guarda esclusivamente all’austerità per pagare i debiti, senza strumenti per rilanciare l’economia, oltre a essere poco sostenibile comporta danni nel tessuto sociale – la vera ricchezza di un Paese e il vero “capitale” su cui investire. È quello che sta accadendo in Grecia con conseguenze che fanno saltare le solidarietà quotidiane, anziché produrre comportamenti virtuosi di tenuta sociale ed economica, primo esempio fra tutti la corsa a ritirare i depositi, che mette in ginocchio definitivamente il sistema bancario nazionale.La crisi greca con le sue possibili “infezioni” alla Spagna e ai Paesi più deboli. Non amiamo gli allarmismi, ma potrebbero davvero mancare pochi giorni a un tracollo ulteriore, con conseguenze pesantissime per tutto il mercato e, dunque, per il sistema europeo. Per scongiurarlo occorrono forti dichiarazioni di solidarietà e impegno da parte europea, che mettano a tacere le sirene su cui giocano gli speculatori. Senza parole chiare le nuove elezioni diventerebbero un inutile bicchiere di acqua e zucchero.È soprattutto per questo che gli occhi sono puntati sul G8 che si svolgerà in questi giorni a Camp David negli Stati Uniti. Il tradizionale appuntamento dei leader dei Paesi considerati più industrializzati ha ridotto negli anni la sua agenda, vuoi per la denuncia di “illegittimità” avanzata sia dai movimenti critici della globalizzazione sia dai Paesi esclusi dal club, vuoi per il diffondersi della crisi finanziaria ed economica che richiedeva il coinvolgimento di un numero molto maggiore di attori. Se il G20, che esclude dal tavolo almeno 170 Paesi ma raccoglie quelli col maggiore peso economico, è divenuto il luogo per gestire le mediazioni più importanti in ambito economico, il G8 comunque prosegue, quasi sospinto dalla tradizione più che da una reale volontà politica dei suoi membri.Privi di Putin, che con un gesto sprezzante ha annunciato di essere impegnato nei primi passi della nuova presidenza, gli otto affronteranno come sempre un’agenda globale. La presidenza Usa ha proposto di presentare un documento finale molto stringato, privo di considerazioni generali e orientato agli impegni concreti. Ha proposto un’iniziativa per la sicurezza alimentare che desta preoccupazioni e ha annunciato di voler mettere l’impegno del G8 a servizio dell’uscita dalla crisi. Ma le parole più attese saranno quelle sulla Grecia e la (apparente) crisi debitoria europea. In politica le parole sono fatti, mai come oggi. Ma occorre che vengano pronunciate anche in tedesco.

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