Diario di Marco Pedde, malato di Sla

Quando alcuni mesi fa mi venne proposto da un settimanale cattolico di dare vita a un diario settimanale, nel quale esprimere le mie riflessioni, ne fui piacevolmente sorpreso ma allo stesso tempo un po’ spaventato. Accettai con grande piacere questa nuova sfida, perché per me lo è, consapevole delle difficoltà, soprattutto organizzative.Il mio timore è stato, e lo è tuttora, quello di non essere in grado di far comprendere in modo chiaro il mio pensiero poiché una cosa è esprimere la propria opinione davanti a un amico o a una stretta cerchia di amici, magari sorseggiando del buon vino, altro mettere nero su bianco le tue considerazioni, soprattutto quando tratti argomenti un po’ spinosi che toccano le coscienze delle persone e quando le stesse considerazioni raggiungono una platea più numerosa ed eterogenea con opinioni diverse e vogliosa, come sarebbe giusto, di controbattere nell’assoluto rispetto di ogni opinione, anche di quelle che non si condivide.Queste paure e questa responsabilità si sono acuite quando la platea, grazie all’agenzia Sir, è diventata nazionale.Oggi sono estremamente felice di aver intrapreso questo nuovo percorso e sono grato a chi mi ha dato questa opportunità.Il mio, come tanti altri, è un buon esempio di inclusione sociale, di partecipazione attiva nella società ma soprattutto un modo per dimostrare, a nome di tanti senza voce, e non solo malati di Sclerosi laterale amiotrofica, che anche se prigionieri come me del loro corpo e del loro letto, hanno una quotidianità normale e vogliono essere cittadini a tutti gli effetti per dare con uguali diritti e doveri il loro contributo alla vita sociale e politica.Sono fiero di aver contribuito a rompere questo silenzio assordante che senza polemiche o inutili piagnistei, mette anche la classe politica davanti alle sue responsabilità.Qui, in Sardegna, tanti malati di Sla siamo usciti dal guscio per dare un’ordinaria prova di normalità che agli altri appare come straordinaria. Siamo diventati in qualche modo testimonial di tanti che purtroppo soffrono in silenzio. Penso soprattutto ad alcuni miei compagni di viaggio, come la sassarese Susanna Campus, nostra decana, che da tanti anni cura un blog personale su Tempi.it, oppure il nostro dj Fanny di Ales che continua, grazie a un particolare comunicatore, a coltivare la sua passione per la musica con brillanti composizioni e ancora al giovane cuoco oristanese Paolo Palumbo, originario di Nuoro, che con la sua grande passione per la cucina, ha scritto un libro “Sapori a colori” che contiene una raccolta di ricette adatte a tutti e che presto ci stupirà con un nuovo progetto.Questa è la dimostrazione, nonostante le evidenti difficoltà, di quanto ognuno può fare e offrire alla società e a se stesso, ma soprattutto di come sapere dare un senso alla vita.Scrivendo queste note per L’Ortobene ho citato anche padre Modesto Paris, frate agostiniano colpito dalla Sla. Mi aveva colpito una sua intervista su Panorama dove, come molti di noi, si definiva montanaro che continua la sua scalata verso la vetta. Padre Modesto ora è morto! Vorrei ricordalo senza cambiare la chiusura dell’articolo originario, citando le sue parole da malato e sacerdote che infondeva speranza: “Sono felice così, perché finché vivo posso nutrirmi della vita degli altri”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA