Dall’ospedale di Lodi in “missione”
in Albania

La dottoressa del pronto soccorso di Lodi Maria Teresa Spina e l’infermiera del pronto soccorso Eni Bardhi sono a Tirana, l’obiettivo è trasmettere le conoscenze acquisite nel primo presidio del mondo occidentale che ha affrontato il Covid

Dal pronto soccorso di Lodi all’Albania, perché aiutare è la «nostra scelta di vita». Il medico e l’infermiera del pronto soccorso Maria Teresa Spina ed Eni Bardhi hanno detto subito “sì” quando è stato proposto loro di partecipare alla missione umanitaria nazionale all’estero, promossa dal governo. E giovedì sono partite. «Per quanto m riguarda - racconta la dottoressa Spina, 36 anni, in pronto soccorso a Lodi dal 2016 - mi ero già avvicinata a questo mondo, in passato avevo collaborato, infatti, con l’associazione Ares Marche per iniziative di questo tipo». Con le due specialiste lodigiane ci sono altri 5 operatori in arrivo da Puglia, Lazio e Piemonte. L’obiettivo è trasmettere le conoscenze acquisite proprio nel primo ospedale del mondo occidentale che si è trovato ad affrontare l’epidemia da coronavirus, quello di Lodi, e soprattutto offrire la spalla ai colleghi dal punto di vista umano. A Tirana sono appena arrivate e le due specialiste non sono ancora state inviate in ospedale, ma in Armenia, tra giugno e luglio, assicura la dottoressa Spina, era come a Lodi, tra marzo e aprile. Lo stesso numero di pazienti, la stessa tragedia.

«L’obiettivo - confida il medico - è anche quello di condividere il nostro vissuto con i colleghi che stanno vivendo quello che noi abbiamo già affrontato. Rivedersi in loro fa riflettere, significa comprendere il loro stress emotivo e sentirsi vicini nonostante la diversità. Siamo qui perché crediamo nella condivisione. Vogliamo essere vicini ai nostri colleghi e alle persone che si trovano lontane dai loro cari. Vogliamo essere lì a disposizione degli altri. Ho scelto di fare il medico e di specializzarmi in medicina d’urgenza per essere presente e fare il possibile, dal punto di vista professionale e umano, quando serve. Avendolo vissuto a Lodi sappiamo cosa provano adesso i colleghi che vivono la stessa situazione».

Bardhi, invece, in Italia da quando ha 9 anni, appena ha saputo che la missione si sarebbe svolta in Albania, nel suo paese natale, si è commossa. Trentun anni, un diploma al liceo biologico di Casale, dopo 3 anni alla facoltà di filosofia, ha deciso di cambiare e di iscriversi a infermieristica. Per lei, una mamma veterinaria e diversi zii dottori, è stata una scelta quasi naturale. Oggi ha già dalla sua parte una pubblicazione , realizzata insieme al suo primario Stefano Paglia, sulla modifica del triage infermieristico e una docenza sul metodo infermieristico Sbar iniziata con il sostegno della coordinatrice Miriam Villani.

Prima di tornare tra i banchi per la specialistica, a settembre, ha deciso di partire per la missione umanitaria. «Mi è stata data questa possibilità. La sola parola “missione umanitaria” mi investe di un grande senso di responsabilità - ammette - ed è importante, e lo è ancora di più per il fatto che mi trovo nel mio paese d’origine. Ho fatto il massimo per l’Italia e farlo anche per l’Albania è emozionante. Spero di fare un ottimo lavoro e di lasciare qualcosa che possa essere utile agli altri».

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