Dalle fede alle frontiere del mondo

I segnali sono molti e unanimi: tra la festa della Madonna di Lourdes e quella di San Giuseppe di questo 2013 abbiamo assistito in presa diretta, stupiti, emozionati e straordinariamente partecipi, a un passaggio storico nella Chiesa. E siccome la Chiesa vive nella storia, a un messaggio forte della Chiesa al mondo, a proposito dei tempi nuovi di questo XXI secolo.È ancora presto per argomentarlo, ma la sensazione è che si sia conclusa una fase, otto-novecentesca, e si profilino le forme di un pontificato per i tempi nuovi: “camminare, costruire, confessare”, ha detto Papa Francesco ai cardinali nella prima celebrazione all’indomani dell’elezione, indicando in senso dinamico la rottura e la continuità, la cesura storica che stiamo vivendo. Comincia una fase nuova, ben piantata nella storia, ma aperta, fuori dalle categorie tradizionali, che spiazza le retoriche e le contrapposizioni, parte e arriva all’essenziale. Non è un caso che l’altra parola-chiave più ricorrente negli interventi di inizio pontificato sia stata “misericordia”. Ha sintetizzato in un inglese facile facile un osservatore laico: “The New Pontiff is a Uniter, Not A Divider”.La Chiesa cattolica così offre un riflesso di dinamismo e di flessibilità che ha stupito gli osservatori più sussiegosi. Non che i problemi siano cancellati o dissolti, certo. Ma sono inquadrati in modo da poter essere affrontati.È questo il senso della grande liturgia dell’inizio del pontificato: “Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito”. Il vero potere è il servizio, prima di tutto ai più umili, come nel giudizio universale, che Papa Francesco evoca con serenità.Modellato su San Giuseppe il discorso è centrato sul “custodire”. Ripete due volte: “non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza”. Perché tutti, dai grandi della terra ad ogni uomo siamo “custodi”. Qualcosa che ci è dato (da Dio) ed è affidato alla nostra iniziativa. Siamo custodi “della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”. Tutti, non solo i cristiani.Così Papa Francesco, al termine di una omelia breve, mite e sobria, ma straordinariamente densa, ribadisce il “centro della vocazione cristiana: Cristo!”, con il punto esclamativo, e conclude con due indicazioni che diventano linee. La prima è alla sostanza spirituale: “Per ‘custodire’ dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita!”. La seconda può essere la cifra del pontificato, perché questo custodire, in tutta la sua densità, apre “l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondato sulla roccia che è Dio”.Dalla roccia della fede alle frontiere del mondo, Papa Francesco purifica del superfluo e invita, scompaginando, a mettersi in cammino, insieme.

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