Cultura a Lodi: giovani, dove siete?

Uno degli aspetti che procura qualche delusione, quand’anche non amarezza, è nel vedere la scarsa partecipazione dei giovani ai fatti della cultura e nello specifico del campo artistico in generale. Parlo per lunga esperienza e dal ruolo anche di presidente dell’Associazione culturale Oltreponte, ormai attiva da nove anni con l’intento di diffondere ai partecipanti qualche interesse riguardante pittura, poesia, letteratura, storia, musica et similia, con la presenza significativa di importanti relatori. Infatti sto verificando quanto sia arduo il coinvolgimento giovanile in questo senso. Tolto che questa mia asserzione non conta in assoluto, perché qualche rara eccezione c’è sempre, appunto rara per confermare la regola. Però è un rammarico costante e non vorrei che questa mia suonasse come vacuo rampognismo o querimonia di uno che invecchiando (anzi già vecchio) è portato a guardare indietro per accorgersi di non avere più vicino tanti coetanei di un tempo ormai passato. Non è così.

Nei fatti culturali (oggi pare che tutto sia culturale, anche quello che non è) si sa che l’apprendimento degli stessi pretende oltre che una certa propensione, più ancora impegno e passione, quella passione che del resto anima ogni nostra scelta, di qualsiasi natura sia. Già tre secoli or sono il predicatore antigiansenista Bossuet diceva che senza passione non c’è salvezza. Noi sappiamo che la cultura non si può comperare e che quella d’accatto la si misura dopo due argomentazioni. La cultura s’impara a passo a passo, unicamente come processo cumulativo, assimilazione costante con anelito crescente, insaziato e portato alla “curiositas” che è brama o meglio, secondo Nicolò Tommaseo, “cura vogliosa del sapere” cui aggiungere lo scrupolo di non doversi mai fermare perché non si è mai imparato abbastanza. Si comincia balbettando e poi, come nei passaggi della vita, cammin facendo si incespica meno, acquisendo maggior conoscenza a secondo della propria inclinazione e volontà, perché è incommensurabile il castello della sapienza. Purtroppo quante porte e finestre non apriamo di questo castello e solo tardi ci si accorge per questa inavvertenza di quanta bellezza non siamo conoscitori. Rimanere indifferenti e pigri è imperdonabile errore nei confronti dell’amore per la bellezza (filocalia si chiama). L’altra sera risentivo Bach e i suoi concerti brandeburghesi riprovando sempre un’appagante emozione quando, per esempio, “entra” l’andante di quattro minuti del secondo concerto, tanto da sentire il dovere di volerla trasmetterla agli altri. Un’emozione sublime (aggettivo in questo caso non sprecato) che tende alla spiritualità per il forte apprezzamento del suo valore che può costituire un aspetto fondamentale della fiducia dell’individuo in se stesso. E’ solo con questo viaggio senza fine nella cultura che si procede alla scoperta della propria ignoranza per acquisire quella sensibilità e capacità di riflettere, di distinguere e infine di interpretare i fatti attorno a noi. In sintesi, la cultura, spesso usata come parola riempibocca e a sproposito, è un’irrinunciabile seduzione intellettuale e piacere mentale oltre che uno straordinario riparo dalle ombre “solinghe e mute” della solitudine che avanza inesorabile con gli anni. La cultura, questo ostinato affaticarsi senza fatica che rende conto a noi prima che agli altri e che ci aiuta a stare lontano da coloro che secondo Hermann Hesse meno sanno più si ritengono soddisfatti e perfetti, solamente perché poco esigenti verso se stessi.

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