Così si lavora nel nuovo reparto Covid dell’ospedale di Lodi VIDEO

La nostra giornalista nel reparto dove i letti, coordinati dalla dottoressa Sara Martinenghi, accolgono malati con la polmonite e bisognosi di ossigeno

Si commuove mentre racconta la sua storia. E noi, ovviamente, con lui. Ha 42 anni e si è trovato all’improvviso ricoverato nel nuovo reparto covid dell’ospedale Maggiore. Il suo medico di famiglia gli aveva detto che no, non era necessario che andasse a fare il tampone, «mica si può fare sempre il tampone ad ogni linea di febbre». Lui, invece, l’ha fatto lo stesso. Non solo ha scoperto che era positivo, ma la febbre restava sempre a 39 e non si abbassava, nonostante la tachipirina e aveva incominciato anche a respirare male. L’uomo, che preferisce non comparire con il nome sul giornale, è rimasto due giorni in osservazione breve, in pronto soccorso, e appena si sono aperti i posti letto è venuto qua, al secondo piano, a farsi curare. Ora sta meglio ed è in fase di dimissione. A coordinare il nuovo reparto covid, collocato nell’area della chirurgia specialistica, a sua volta spostata nella day surgery, è la dottoressa del Pronto soccorso Sara Martinenghi. La parte infermieristica, invece, è affidata a Paolo Regali che si avvale del supporto di Roberta Carlà.

Divisa anti contagio

Per entrare, ovviamente, è necessario indossare camice, mascherina nuova, guanti, copricapo e copri calzari e poi stare lontani, dagli operatori e dai loro malati. Bisogna isolare il cappotto e gli oggetti personali in cellophane sterili e riporre tutto nell’armadio. «Noi è da febbraio che siamo vestiti così - commenta la dottoressa Martinenghi -, non ci siamo mai cambiati e sappiamo che, forse, non lo faremo per i prossimi anni. Bisogna curare la malattia ed evitare che ci attacchi».

L’ordine e l’organizzazione sono la cifra del lavoro in reparto. Nessuno si perde in chiacchiere, tutti corrono e parlano dei pazienti. Squilla il telefono, è il Pronto soccorso. Ci sono due nuovi malati da ricoverare. I 22 letti sono già tutti occupati, ma due pazienti sono in dimissione. Uno dei medici si avvicina al 42enne: “Venga, andiamo a fare il test del cammino”. Con il saturimetro al dito, insieme percorrono il corridoio, avanti e indietro e chiacchierano. L’operazione serve per vedere la quantità di ossigeno nel sangue, in condizioni di fatica. Il risultato è ottimo. Il paziente può tornare a casa. A fine settimana i letti saliranno a 28 e la settimana prossima andranno a regime con i 38 posti previsti dalla direzione aziendale. L’Asst sta reclutando il personale. Attualmente, a supportare la dottoressa Martinenghi ci sono i medici Nicolò Vanoni, Veronica Pacetti e Claudia Papetti. Gli infermieri e gli operatori sanitari sono uno ogni 9 malati.

Nessun odore

Se negli altri reparti si sente il classico odore di “ospedale”, qui gli odori sono cancellati e l’atmosfera è rarefatta. Davanti ad ogni stanza è posizionato il carrello con i dispositivi di protezione individuale e il disinfettante. «Qua da noi - spiega la responsabile del reparto tra una chiamata e l’altra, copricapo colorato in testa - non abbiamo pazienti con il casco cpap e nemmeno in ventilazione mini invasiva, ma hanno tutti segni radiologici ed ecografici di polmonite interstiziale. A differenza di febbraio, però, abbiamo una terapia da applicare, cortisone, eparina e l’antivirale Remdesivir. Così i pazienti migliorano». L’età media dei malati è tra i 50 e i 60 anni. Nessun anziano è ricoverato in reparto.

«Un anno angosciante per tutti»

Oggi c’è stato il primo contatto con l’unità di crisi di Milano. Da oggi (giovedì), arrivano anche i pazienti della metropoli, utilizzando il reparto covid da 20 letti in apertura a Codogno, e che sarà affidato alla guida del pneumologo Francesco Tursi. «È un anno angosciante per tutti - commenta Martinenghi mentre corre da un lato all’altro del reparto -, ma è il nostro lavoro e lo facciamo. Quando abbiamo capito che la situazione stava precipitando abbiamo avuto un pensiero di stanchezza, fisica e mentale, ma continueremo a combattere questo virus fino a che il picco non calerà. È un carico di lavoro importante. Siamo preoccupati per quello che abbiamo visto, ma ora almeno abbiamo imparato a conoscerlo e sappiamo cosa si può fare». Martinenghi si ricorda ancora la prima persona che è morta, non si aspettava che il virus provocasse, all’improvviso, una reazione così. E poi l’isolamento dei pazienti, è stato terribile. Ora, ogni giorno, dalle 15.30 alle 16, il personale dell’Urp chiama i parenti a casa e li informa di come stanno andando i loro cari. Le porte sono sigillate alle visite dei famigliari. I malati però sono tutti dotati di cellulare in questo momento e tengono i contatti così. Non c’è stato, al momento, bisogno di attivare videochiamate con altri dispositivi aziendali.

Il sindaco in corsia

Regali, il caposala, non nasconde un po’ di timore. «Abbiamo tutti paura di ammalarci - dice -, ma siamo sereni. Venerdì alle 14 siamo stati allertati. C’è stata una riunione urgente e nel giro di un giorno e mezzo il reparto è diventato covid. Ogni 15 giorni facciamo il tampone. Quando si sono chiuse le porte alle spalle non è stato bello, speriamo che si riaprano in primavera». «In questo reparto - dice il 42enne che osserva il via vai di operatori - sono tutti speciali , molto competenti. Andrebbero premiati di più». D’accordo con lui anche il sindaco di Cornegliano, suo compagno di stanza, Claudio Moneta. È entrato in ospedale proprio il giorno del suo compleanno, il 16 ottobre, gli mancava l’ossigeno. Sua moglie, a casa in quarantena, passa le giornate al telefono a spiegare ai residenti di Cornegliano come sta il marito. «Sono bravissimi qua in reparto - dice il sindaco -, la professionalità è molto alta. Stanno cercando di dosare l’ossigeno prima di mandarmi a casa».

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