Cosa fare perché l’Italia possa vivere?

Vista dall’estero, con gli occhi dei nostri emigranti italiani, questa sembra essere una triste scena. La parabola della nostra Italia. Sembra di trovarsi proprio sotto la croce del Cristo, mentre i soldati romani giocano a dadi per prendersi a sorte la tunica. Si sta consumando una tragedia e chi ha responsabilità discute d’altro. Così, da lontano, da fuori sembra la nostra terra. Discutere, parlare d’altro o semplicemente parlare attorno a un problema pare essere tipico della nostra cultura. Non quello di risolverlo. Di mettersi all’opera. Ricordo anni fa in Francia, mentre in patria si facevano conferenze sulla famiglia e la sua importanza, lì ad ogni passo della vita quotidiana si poteva osservare qualcuno con un tesserino “magico” con scritto “famille nombreuse” (da tre figli in su), per avere tutte le facilitazioni del caso. Stupiva constatare come una società laica in qualsiasi momento fosse così concretamente sensibile alla famiglia. È l’agire che risolve e fa avanzare. Non l’azione “incantatoria” della parola o della promessa. Oltre a questa distanza tra dire e fare, per uno sguardo da fuori ne esiste un’altra ben più particolare. È una logica sotterranea, un’onda lunga. Preferire ormai da molti anni dinamiche di morte piuttosto che quelle di vita. Negli occhi di molti di noi all’estero si legge un interrogativo come questo: “Dove va a sbattere la nostra bella Italia?!”Paradossalmente, è ferma. Inceppata, sotto i più differenti profili. Se ne può affastellare agevolmente qualcuno. Da anni ormai avere una famiglia numerosa è considerato un problema, ci si riduce spesso a un solo figlio. Si costata, poi, statisticamente il fenomeno della denatalità, quando i morti superano i nati. Senz’altro questa non è una dinamica di vita per un Paese. Una terra, culla dell’arte e della cultura, si vede piazzata agli ultimi posti in Europa nel sostenere questo aspetto tipico della nostra storia. Non si coltiva la nostra genialità, i nostri talenti, il nostro bisogno di cultura. Inoltre, in tantissimi campi o settori tra efficienza, apparenza o compiacenza generalmente la preferenza non va mai alla prima. Marcello, un siciliano da quarant’anni a Londra spontaneamente vi confessa: “Ogni volta che sono in Italia devo litigare... Vado a comperare un pacchetto di sigarette e stanno chiaccherando... Scusa, potete smettere e venirmi a servire?!” gli tocca sbottare dopo un po’. Forse, in fondo, è questo che è scomparso da noi: il senso dell’altro. Il senso degli altri. Il valore di una collettività. Esiste solo il mio io e tutta la libertà possibile. Manca, però, una vera cultura della libertà che è padronanza delle proprie azioni...Se, poi, si osserva con uno sguardo da fuori come venne affidata la cosa pubblica in questi ultimi vent’anni a chi ama la regola d’oro “fare i propri interessi”, si può intuire dove porti questa dinamica amara di corruzione. Tutto si vende, tutto si compra. Anche le persone diventano merce, perfino i parlamentari. Ultimamente un’altra forza politica giovane – che ha captato e concentrato la disperazione della nostra gente - sembra giocare con l’atteggiamento inconcludente di isolamento e di autosufficienza. Sembra continuare inutilmente la“pars destruens”, incapace di impegnarsi nella parte complementare, come spiegava il filosofo Bacone, “construens”. Un raffinato francese, quando vivevo in Francia, ogni volta che sentiva parlare di italiani usava ripetere come un ritornello: “Ah les Italiens!... teatranti... commedianti...” In questi mesi migliaia di giovani italiani vengono all’estero o piovono a Londra in cerca di fortuna. Ci si chiede come una nazione possa prendersi il lusso infelice di investire per anni per preparare un diplomato o un laureato e vederselo partire per entrare semmai nel mercato altrove. Così perfino l’Australia e la Nuova Zelanda, terre lontanissime, incantano i nostri giovani. Sono decisamente dinamiche di morte che un Paese imbocca così, disinteressato della sua gioventù. Da poco, infine, è arrivato da lontano un nuovo papa. Pare aggiungersi al nostro popolo come quello straniero che si aggiunse ai due discepoli di Emmaus nel loro cammino. E, come allora per loro, ci fa capire la nostra storia, ci fa rileggere insieme il nostro percorso. Ricordandoci, per esempio, quanto è grande aver avuto proprio tra di noi il più bello dei figli di Assisi, Francesco. Quanto è vera la testimonianza di una Chiesa povera che si dedica ai poveri. Abbiamo adorato, invece, per anni il denaro, tanto da diventare il nostro idolo. Il centro dei nostri discorsi. Il cuore dei nostri interessi.Preferire, così, continuamente dinamiche di morte a quelle di vita significa togliersi la vita con le proprie stesse mani. Un istinto suicidario per un Paese. Pare non lo si sia ancora capito, commentava giorni fa un emigrato italiano, forse non si è ancora toccato il fondo... Capire, allora, la triste verità di questi anni. E la zavorra di ogni genere che ci impedisce di cantare con un indimenticabile Modugno “Volare,” nell’entusiasmo di quei tempi.In fondo, l’unica domanda rimasta in campo: che cosa posso fare io perchè l’Italia possa rivivere? Prendersi sul serio. Responsabilmente.

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