Cosa fare in un’Italia

senza figli?

Gli ultimi dati demografici Istat continuano a confermare in Italia un trend della popolazione in forte calo. A settembre del 2015 (ultimi rilievi), si sono registrate circa 116mila persone in meno rispetto alla fine del 2014 (anno di picco della popolazione italiana, con 60 milioni e 800mila abitanti). Meno nascite, più decessi, meno immigrazione: queste le macro-cause del fenomeno. Ma ciascuna di esse, a sua volta, affonda le sue radici in altre cause. Tra queste, la progressiva “liquefazione” e scomparsa del matrimonio, inteso come istituto sociale. Su questa dimensione abbiamo raccolto il pensiero di Roberto Volpi, statistico ed esperto di problemi demografici.

“Per la prima volta in Italia – sostiene Volpi - registriamo una flessione della popolazione totale. Già da tempo, infatti, si era rilevata una diminuzione delle nascite e un aumento dei decessi, ma questo scompenso finora era riequilibrato dal massiccio movimento migratorio. Negli ultimi due o tre anni, invece, esso si è notevolmente ridotto; nel 2015 probabilmente (non ci sono ancora i dati definitivi), non ha superato le 10-15mila unità di saldo attivo (ci sono stati anni, in passato, in cui ha raggiunto le 500mila unità!) e, per la prima volta, nel mese di settembre 2015, esso ha avuto addirittura un saldo negativo. È venuto a mancare quindi questo abituale fattore di compensazione demografica. Nel settore demografico è difficile fare previsioni affidabili su tempi lunghi. Tuttavia, a me sembra che le componenti per l’esaurimento eventuale della popolazione siano già tutte in campo. Di queste, una fondamentale – di cui solitamente si parla molto poco – è la costante diminuzione della popolazione femminile in età feconda. Questo fattore tenderà a diminuire ulteriormente, perché oggettivamente risente della denatalità di 40 anni, che dalla metà degli anni ’70, sostanzialmente non si è mai arrestata. Questo è un elemento oggettivo contrario il cui trend, nel breve, non possiamo certo invertire”.

“Tra le cause della denatalità – dichiara Roberto Volpi - spicca senza dubbio anche la progressiva diminuzione del ricorso al matrimonio aperto alla procreazione. A me sembra che questo sia l’unico fattore immediatamente aggredibile, attraverso una nuova promozione, sul piano culturale e sociale – e quindi anche politico – di questo istituto e, più in generale, della famiglia che origina da esso. Purtroppo, bisogna prendere atto che, in questo momento, sembra aver vinto nel nostro Paese una cultura “contro” il matrimonio, la cultura del “basta l’amore”. Una cultura, dunque, che ritiene il matrimonio sostanzialmente inutile, perché un legame d’amore tra due persone non ha bisogno di essere istituzionalizzato; esso si regge fin quando dura, in base alla sua “solidità”, senza bisogno di essere istituzionalizzato. Lo dico da laico, quale io sono. Naturalmente, ciò ha inevitabilmente riflessi negativi sulla natalità, poiché la scelta di non stabilizzare socialmente la propria unione amorosa chiaramente non facilita l’assunzione di responsabilità pubblica del mettere al mondo un figlio”.

Statisticamente parlando sono in aumento i figli nati fuori del matrimonio.

“Ma su questo dato – sostiene Volpi - c’è un grosso equivoco. In realtà i figli si fanno nel matrimonio, o con la prospettiva del matrimonio, con la possibilità del matrimonio, o comunque col fatto che in qualche modo il matrimonio “rimedia” alla nascita di un figlio prima di esso. Anche le coppie di fatto, nella stragrande maggioranza, si aprono alla procreazione quando scelgono di fare un passo più decisivo e stabilizzante per il proprio rapporto, e che quindi tende al “matrimonio”. Lo dimostra anche la casistica dei Paesi del Nord-Europa, dove c’è un numero maggiore di figli nati fuori dal matrimonio, ma contemporaneamente un numero maggiore di matrimoni (celebrati appunto dopo la nascita dei figli)”.

“Quanto alla politica – prosegue Roberto Volpi - deve ritrovare una genuina attenzione per il matrimonio in sé – al di là delle problematiche contingenti, unioni civili comprese – ed agire per la sua promozione, anzitutto sul piano culturale, e poi su quello sociale. A mio avviso, infatti, non basta solo l’implementazione di aiuti – pur indispensabili, come ad esempio, facilitazioni abitative per le giovani coppie, assegni familiari, servizi per l’infanzia, ecc… – sul piano concreto; occorre anche affiancare ad essi una forte azione di rilancio culturale che contribuisca a diffondere nuovamente nella mentalità comune una visione positiva del matrimonio e della famiglia”.

Infine, “in quest’ambito – conclude Volpi – ritengo assolutamente fondamentale il ruolo dell’informazione. Ma finora mi sembra che sia stato per lo più nefasto, asservito ad un conformismo spietato, ispirato da altri interessi contingenti e fuorviante. Un’informazione che spesso ha scelto di raccontare la famiglia come “l’origine di tutti mali”, dei tanti fenomeni sociali deteriori che la cronaca registra; dimenticando (più o meno consapevolmente) però di riconoscere e sottolineare la dimensione “salvifica” della famiglia, sul piano affettivo e sociale. Qualcuno si è mai chiesto quanti fenomeni sociali negativi in più si verificherebbero senza il “salvagente” della famiglia, pur con tutti i suoi limiti contingenti? Insomma, manca una narrazione al positivo della realtà “famiglia”, una grossa pecca che dovrebbe essere colmata”.

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