Contro la rèla la preghiera a San Bassiano

Natale già alle spalle, come ci fosse scappato tra le dita, come non ce ne fossimo accorti. È quello che mi è parso di avvertire in giro. Come se la crisi avesse minato la voglia di scommettere sulla preghiera, anche la più zoppa. E San Bassiano? È l’ultima occasione, è l’epilogo delle Feste. L’impressione è che ci si ripensi: la voglia di dirla con Ornella Vanoni: “La mia fede è troppo scossa ormai, ma prego e penso fra di me: proviamo anche con Dio, non si sa mai”. Proviamoci ancora una volta con San Bassiano. Saranno, pare, almeno in ventimila a passare il fazzoletto sul vetro della teca del patrono. Qualcosa di anomalo, non riscontrabile altrove in Lombardia. “O San Bassan, daghe una man!”. Sono i contadini, i poveri quelli che più gli sono rimasti fedeli. È in dialetto che ha più senso pregarlo.Sappiamo poco di lui, neppure è certo che sia terrone di Siracusa. Ma val a pena di credere alle tradizioni. San Bassiano sembra sprofondato nei secoli. Se provate però ad immaginare una fila di settanta uomini, uno padre dell’altro, arrivate presto a San Bassiano. L’abbiamo qui attaccato, pűdém tiragh el giaché. La mia fiducia viene dalla puntuale telefonata all’amico Alberto, over 70 come me. Fino a qualche anno fa arrivava in duomo alle otto di mattina, passava nella cripta a toccare pudicamente la teca del santo con un fazzoletto nuovo, poi tornava su, sedeva nell’ultima fila della navata centrale, e aspettava il pontificale delle undici. Tornato a casa col filson santangiolino, riponeva il fazzoletto nel comodino di San Bassiano: ogni anno così, da sessant’anni. E quest’anno sarò il sessantunesimo. «Sono male ingambato - mi ha detto -: quest’anno tre operazioni, una più seria dell’altra. Mi hanno tagliato e ricucito come un magatello. Le cuciture pare che tengano e martedì sarò ancora lì davanti alla teca del santo col mio sessantunesimo fazzoletto. Non pregherò per me, mi considero fortunato. C’è una rèla in giro che non ne ricordo una uguale». Rèla (o lipa) è in dialetto il bastoncino a due punte, sul quale si abbattono i colpi del bastone grosso, el bacarél. In senso figurato rèla significa aria grama, come è del povero bastoncino preso a randellate dal parente maggiore. Però Alberto ci sarà col suo sessantunesimo fazzoletto: «O San Bassan, manda una ventada a purtà via la rèla!» Io non ho la fede di Alberto, né quella del mio amico Willy, che pochi anni fa mi ha voluto accanto per raccontare a fumetti la storia di San Bassiano. Willy ha affidato a un vecchio contadino il compito di raccontare alla nipotina la vita e le opere di Bassiano, secondo la più consolidata tradizione popolare: la nascita del santo a Siracusa, la vocazione cristiana a Roma, la tappa a Ravenna, fino al definitivo approdo nella terra di Lodi. «Le tradizioni vanno salvate - si accalora al telefono –, vorrei che ci fossero ancora e sempre nonni che raccontano». Alla fine penso che anch’io scenderò nella cripta. Magari di sera, poco prima che si chiudano le porte del duomo.Come tanti anni fa, quando la figlia adolescente mi aveva detto che non le importava di San Bassiano, che aveva programmato una giornata con le amiche. Era sera, era tardi, e io risalivo i gradini della cripta con il cuore greve che possono capire tutti quelli che hanno figli. Risalivo a fatica, quasi strascicando i passi. Mi ha destato uno scalpiccio allegro. Mia figlia stava scendendo: «Per un salutino a San Bassiano», mi ha detto.

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