Contro incendi e crolli

Le periferie in fiamme di Londra interrogano l’Europa non meno della xenofobia che attraversa la Scandinavia (sarà il tema della prima riunione della Commissione Barroso al rientro dalle ferie) o degli sbarchi di immigrati che giungono sulle coste mediterranee, benché sulle prime pagine dei giornali del continente imperversi la crisi economica e finanziaria che scuote Madrid e Roma quanto Berlino e Parigi, passando per le “capitali Ue”, Bruxelles e Francoforte, o per le piazze finanziarie di Londra e Milano. Il nuovo crollo dei mercati finanziari ha reso necessario l’azione della Bce (intervenuta a favore dei conti pubblici italiani e spagnoli), dopo il via libera politico decretato dalla leadership Ue saldamente in mano ad Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, con l’inedita aggiunta di Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale. Un intervento non certo ortodosso sul piano dei Trattati, ma “provvidenziale” per evitare guai peggiori e per mettere in sicurezza – per il momento – la moneta unica e il progetto europeo. Se a qualcuno la risposta comunitaria è apparsa debole e tardiva, basterà girare lo sguardo oltreoceano per verificare quanta fatica stia facendo Obama per guidare gli Stati Uniti (proprio gli Usa, la prima potenza economica planetaria!) verso spiagge sicure, al riparo da un pericoloso, quanto impensabile, default, e da una recessione che rimanda subito il pensiero a quella del 1929. Le chiavi di lettura fornite dai commentatori sono molteplici. Alcune pongono l’accento sui pressanti aspetti finanziari, altre indicano la strada di una revisione delle politiche economiche nazionali (puntando su investimenti e riforme di lungo periodo); altre ancora criticano le banche e le agenzie di rating, altre insistono sulle “responsabilità della politica”. Ad esempio il quotidiano tedesco “Tageszeitung” titolava, alcuni giorni or sono, “Europa salvata”, pur criticando la forma, non la sostanza, dell’intervento della Bce sui titoli di Roma e Madrid. Seguiva però una interessante riflessione sul fatto che “la crisi rafforza l’Europa”, nel senso che la prima costringerebbe la seconda a procedere verso una più convinta (forse obbligata) unione economica e monetaria. Il fiammingo “De Morgen” parla di “una tempesta sull’economia mondiale”, mentre altre testate, fra cui la francese “Libération”, sottolineano maggiormente le ricadute sociali – sui cittadini, sui pensionati, sui risparmiatori, sui consumatori – dei provvedimenti finanziari in atto. “La Vanguardia” (Spagna) predica interventi ancora più massicci da parte delle istituzioni politiche e finanziarie, con “nuove proposte e passi da gigante verso il coordinamento nella gestione dell’economia mondiale”. Il giornale londinese “The Guardian” l’8 agosto invocava invece una leadership politica mondiale all’altezza della situazione, paventando un prossimo declino dell’intero occidente. “Nessun summit del G7 e nessuna telefonata tra i leader mondiali, non un discorso toccante di Barack Obama e nemmeno la brillante calma di David Cameron” salveranno i paesi ricchi dalla profonda recessione. “Cosa ci aspettiamo dai nostri leader una volta tornati dalle vacanze? Che trovino una soluzione al tracollo finanziario, ovvio. Ma in che modo? Aumentando le tasse o abbassandole? Attraverso nuovi provvedimenti di austerità o incentivando il consumo? Assecondando i mercati o sfidandoli apertamente?”. Servono dunque “idee brillanti”, scelte coraggiose e interventi drastici: “Il cammino che potrebbe salvarci dal disastro totale è costellato da tappe dolorose e provvedimenti impopolari”, quali “aumento delle tasse, taglio alla spesa, impoverimento controllato di popoli abituati a credere in un futuro sempre migliore”. Dinanzi a questi scenari, conclude il quotidiano, “non sorprende che i politici si tirino indietro”.

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