Sono iniziati i saldi di fine stagione. Un momento inutile e superato, soprattutto aggirato in ogni modo. Negli anni scorsi, era tutto un “rinnovo locali” e un “cambio gestione” ben sparati in vetrina a legittimare le offerte fatte prima appunto dei saldi previsti dalle normative regionali. La crisi ha acuito l’ingegno, l’evolversi delle prassi commerciali ha addirittura cancellato il senso delle svendite.Anzitutto l’intero anno è il momento buono per vendite straordinarie, per sottocosti, per promozioni a tasso zero, per weekend tutto a meno 30%. È poi prassi universalmente diffusa quella dei cosiddetti “pre-saldi” per la “clientela affezionata”, che a volte cominciano già a fine novembre. Se poi la clientela affezionata è quella che ha sottoscritto una card aziendale, magari un minuto prima dell’emissione dello scontrino e gratuitamente, si capisce che il tempo dei saldi equivale sostanzialmente alla campanella dell’ultimo giro, allo svuota-tutto, alla possibilità di vendere a prezzi ribassati senza inventarsi formule particolari o scorciatoie più o meno legali. E nulla di più.Ma è la prassi commerciale a rendere il tempo dei saldi più obsoleto del tempo delle mele. Ogni negozio più o meno ampio e rispettabile ha ormai il suo “spazio outlet”, dove (s)vende una parte del campionario; gli esercizi commerciali più grossi hanno addirittura spazi esterni dedicati a questa forma di vendita: dall’arredamento alle scarpe fino alle pentole e agli elettrodomestici. Per non parlare delle vere e proprie cittadelle dell’outlet, megacentri commerciali di solito piazzati non lontano dalle grandi città, con centinaia di negozi a tema-saldi.Se infine consideriamo che il commercio si sta spostando dal negozio fisico a quello virtuale in internet, dove tutte queste logiche nemmeno esistono, è chiara la definizione di momento inutile e superato.Insomma, tanto vale togliere il velo di ipocrisia che avvolge il commercio italiano con la parola “saldi”, buona solo per lo stantìo servizio del tiggì sulla “corsa ai saldi”, e all’immancabile comunicato dell’oscura organizzazione dei consumatori che ne depreca le storture e certifica l’altrettanto immancabile calo delle vendite. Naturale, peraltro, nel momento in cui il cappotto a prezzo ridotto si può acquistare un po’ ovunque per tutto il tempo dell’anno.Ma anche le varie “civette” che hanno attirato il consumatore alla cassa, stanno facendo il loro tempo. Se è vero che il fatturato dei supermercati è fatto per più di un terzo da prodotti scontati; se è vero che le uniche organizzazioni della grande distribuzione organizzata che stanno andando bene, sono quelle che privilegiano il prezzo più basso al di là degli sconti, è chiaro che l’unica cosa che interessa il consumatore italiano all’inizio dell’ottavo anno consecutivo di crisi economica è quella di spendere il meno possibile. O meglio: di valutare e seguire con maggiore attenzione il principio del rapporto qualità-prezzo. In fondo, un processo di crescita che aiuta a diventare consumatori (e cittadini) più attenti.
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