Concorsone: c’è qualcosa che non torna

Scaduti i termini per la presentazione della domanda di partecipazione al concorso a cattedra indetto dal Miur, è possibile ora fare un primo bilancio della situazione che si è venuta a creare. Innanzitutto il numero delle domande presentate è andato oltre ogni aspettativa. Sono state, infatti, presentate più di 320 mila domande per poco più di 11 mila posti disponibili. E non è finita. Dietro l’angolo ci sono i tanti ricorsi presentati da chi si sente discriminato e rivendica il diritto a partecipare alla megatornata su cui pende il pronunciamento della giustizia amministrativa. In tutto questo bailame c’è, però, qualcosa che non torna. Innanzitutto il numero delle domande presentate, poi l’alta percentuale di aspiranti donne e infine tanti giovani che sperano nel concorso per andare ad occupare un posto di ruolo. Vien da chiedersi. Perché tanti aspirano all’insegnamento? Perché tante aspiranti donne? E perché trova ancora spazio tra i giovani la ricerca del posto fisso? Indubbiamente al Ministero si aspettavano un elevato numero di domande, ma che queste andassero oltre le 300 mila probabilmente non era nelle previsioni di nessuno. In effetti è una vera sorpresa. Sorprende, ad esempio, come la docenza sia ancora, tutto sommato, una professione desiderata e questo nonostante la scarsa considerazione sociale di cui gode oggi un docente. Non solo. Non passa giorno che non si assiste a qualche forma di protesta inscenata dagli insegnanti per il trattamento loro riservato dalle attuali norme. Mi limito ad una piccola serie di lamentele. Stipendio molto basso? Vero! Se dovessimo mettere a confronto lo stipendio di un nostro docente con un docente dell’area euro, verremo a scoprire cose turche (anche nel senso che i nostri docenti guadagnano meno dei colleghi turchi). Troppe ore di lavoro? Vero anche questo. Il riferimento può partire dalla recente polemica sul tentato aumento dell’orario di lavoro settimanale da 18 a 24 ore per chiarire che il lavoro didattico di un insegnante non si conclude a scuola, ma continua a casa. Troppi alunni nelle classi? Verissimo. Dopo i recenti interventi legislativi l’indice di riferimento ha innalzato la media nel rapporto alunni/classe, rendendo l’opera della docenza sempre più in preda a disturbi conflittuali. Ambiente di lavoro poco dignitoso? Sacrosanta anche questa sottolineatura. La cronaca ci documenta continuamente circa le condizioni in cui versano numerosi edifici scolastici specialmente al meridione. La scarsa o scarsissima considerazione sociale? Innegabile! Sono a ricordarcelo i tanti episodi in cui sono coinvolti i docenti sbattuti, spesso, in prima pagina come parti lese. E così abbiamo docenti che devono lavorare tra derisioni, minacce, condizionamenti professionali, avvocati, processi, mancanza di carriera, senza parlare di episodi violenti e, cosa ancor peggiore, del pericoloso logoramento psicologico che mette a dura prova la stessa lucidità mentale ridotta a poltiglia. E’ Vittorio Lodolo D’Oria a raccontarlo nel suo libro «Scuola di follia». Un medico che ha dedicato la sua attività allo studio del fenomeno della sindrome da burnout così diffusa tra i docenti. Eppure nonostante tutto questo sono più di 320 mila pronti ad affrontare le prove preselettive, sognando di superare le varie fasi e accettando di aspettare forse fino a 40 anni per sperare di entrare in ruolo. Un esercito disarmato composto per due terzi da donne. Una percentuale che si fa sempre più consistente man mano che si scende dalle superiori alle elementari dove la percentuale delle insegnanti donne si avvicina al dato bulgaro. Su cento maestri elementari 96 sono donne. Il maestro maschietto è oramai una razza in via di estinzione. Sarebbe meglio imbalsamarne qualcuno con tanto di pedigree per mostrarlo come testimonianza professionale alle future generazioni. Pare che questa situazione sia tipicamente italiana. Evidentemente in altri paesi europei i maestri maschietti sono più tutelati. Ho sempre sostenuto che un’eccessiva femminilizzazione della scuola è sbagliata per il semplice motivo che lasciare a un solo modello professionale l’opera educativa, rischia di vanificare l’impostazione di un’opera equilibrata espressa in un contesto dove prevale una presenza mista. Studenti e studentesse si aspettano modelli diversi perchè così è in casa e così deve essere a scuola. L’opera educativa deve sempre avere una diversa valutazione, una diversa opinione sostenuta da un’opera complementare. Come in casa esistono due figure educative, così a scuola dovrebbero essere garantite due espressioni professionali pronti ad agire con equilibrio e completezza. Ma le cose non stanno così. Adesso che abbiamo fatto le quote rosa, facciamo le quote azzurre negli ambienti scolastici. Da tenere in considerazione, infine, il dato dell’età media degli insegnanti. Recenti indagini hanno dimostrato che un insegnante su due supera i 50 anni. Questo vuol forse dire che la scuola si va sempre più geriatrizzando? Pare proprio di sì. Ai giovani laureati non rimane che la speranza così come si legge sul vocabolario della lingua italiana di De Mauro: «Stato d’animo di attesa fiduciosa nel compimento imminente o futuro di un evento, nel raggiungimento di uno scopo», ovvero il posto fisso in una scuola nonostante tutto. Già. Vorrei rimarcare quel nonostante tutto. Perchè? Una risposta penso di poterla dare. Naturalmente è la mia risposta. Ebbene, la scuola è un ambiente ipergarantista. E mi spiego. Non è solo questione di insegnanti, di tecnici, di amministrativi o di bidelli (preferisco questo termine a quello pletorico di «collaboratori scolastici»), che si ritengono al sicuro nella scuola perchè nulla e nessuno può mettere in discussione il posto di lavoro. E’ anche questione che molti sono entrati, sapendo già che tutto è livellato. La scuola è forse l’unico ambiente di lavoro dove il merito è continuamente messo in discussione. Chi non lavora o lavora poco prende lo stesso stipendio di chi si applica con serietà e grande passione. Non c’è differenza! A scuola sono tutti uguali. E allora se è così perchè impegnarsi? La scuola è un bellissimo ambiente, pur tuttavia in tanti anni, mio malgrado, ne ho viste di cotte e di crude, i cui autori sono, alla fine, risultati inamovibili. I tanti fatti di cronaca sono lì a ricordarcelo. Intanto per Benedetto Croce «ci sono persone colte persino tra i professori». Deo gratias!

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