L’autunno della nostra terra è dolce. Si distendono i contorni, si sfumano i colori e l’occhio spazia su una natura che lentamente si richiude nelle sue pieghe più intime e si protegge dall’incedere dell’inverno e del suo gelo. Dispensa sfumature tenui, gioca con vibrazioni variegate, pur nell’uniformità dei toni cromatici.Sembra dire addio al sole, alla vita, alla magnificenza della stagione piena e matura; pare incedere con lentezza e rassegnazione verso la fine e lo sfacelo della morte, ma nel suo ripiegarsi su se stesso l’autunno stende un velo sulla vita, la culla, dormiente, nel suo grembo, finché un nuovo sole la risveglierà con la forza del suo alito caldo e amoroso per ridarle rinnovato splendore.Gli Stati Generali del Lodigiano (che vivranno nella serata di domani a Lodi il loro secondo grande momento, con la consegna del Libro Bianco, Ndr) sono, in metafora, come l’autunno per la nostra terra. Al pari della stagione che declina, essi sono chinati su un territorio in lenta decomposizione, ma non per decretarne la fine. Come l’autunno essi mirano a custodirlo, a proteggerlo, per rigenerare nuova vita, nuovo incanto, nuovo sole; per farlo splendere di luce propria come una stella di grandi bagliori nel firmamento del nostro pianeta.Gli Stati Generali rimangono oggi l’unico appiglio al quale sono appesi i sogni e le speranze di tutti coloro cui preme la salvezza di quanto è rimasto del territorio. Rappresentano l’humus su cui possono ancora crescere e fiorire i piccoli o grandi progetti di bene comune pensati dalla gente semplice, stanca di voli pindarici e di parole gonfie, da tutto quel popolo che con saggezza, buon senso, tenacia e operosità ha creduto nel lavoro fatto dalla storia e dal sudore dei padri, oggi seriamente minato da anni di interventi non sempre ortodossi e rispettosi, spesso voluti più da chimere di grandezza, da sogni di profitto e potere che da reali esigenze del territorio e della sua popolazione.Non si tratta di fermare il tempo, di fossilizzarsi su posizioni retrograde e di tenere lo sguardo volto semplicemente al passato. Accompagnati dalla sicurezza e dalla fiducia che il progresso sensato genera e porta con sé è necessario oggi interrogarsi su come gestirlo al meglio, riconsiderando con oculatezza gli errori, i passi falsi, i risultati deludenti che hanno infierito non poco in questi ultimi decenni, facendo barcollare certezze nel tempo acquisite e consolidate. Una nuova maturità spinge oggi a difendere ciò che fino a pochi decenni fa con leggerezza andava perduto.I problemi che gli Stati Generali hanno valutato e sui quali intendono vegliare sono molteplici, ma tutti concatenati. Far leva su uno significa intersecare tutti gli altri.Uno in particolare è, a mio avviso, il cardine portante su cui puntare per ridare al territorio la sua “lodigianità”, la sua connotazione specifica, la vera identità che lo ha contraddistinto: la salvaguardia della terra intesa come luogo su cui si è innestata per secoli la nostra meravigliosa ed irripetibile agricoltura. Ridare splendore all’agricoltura significa salvare la campagna dall’avanzare del cemento, dalla speculazione edilizia, dall’abusivismo; significa impostare politiche non finalizzate a umiliare il suolo con sconsiderate realizzazioni urbanistiche, con la logistica o esasperate infrastrutture, tutti passaggi dai risvolti ambientali e sociali evidenti e preoccupanti.L’agricoltura va ripensata non quale settore spento e secondario, ma soprattutto monocorde, bensì come motore trainante capace, con la conseguente e necessaria reimpostazione delle dinamiche che l’agricoltura esige, di essere di nuovo fonte di lavoro e occupazione.Urge riconsiderare la campagna, recuperare la sacralità di cui essa è tempio, percependola in un’ottica più ampia e positiva. Essa deve tornare il fulcro delle nostre attività i cui indotti troveranno automatico sviluppo e ripresa.Laddove rimasta integra, o almeno rispettata e non violata, la nostra terra, pur non disponendo di mari o di monti, conserva una bellezza struggente e incomparabile, patrimonio immenso ed insostituibile da salvaguardare e custodire. Anche per questo lavorano e si battono gli Stati Generali. Non ci sarà un’altra iniziativa scandita dallo stesso slancio, dalla stessa adesione, dallo stesso clamor populi che replichi il percorso intrapreso da questa assemblea. Perdere questo appuntamento, questa opportunità, non sostenerla con la spinta necessaria significa perdere un appuntamento con la storia, la nostra storia, quella di oggi, del popolo lodigiano e della sua terra.
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