Si accavallano gli avvenimenti, si assommano le immagini. Anche le impressioni, o poi i giudizi nascono, si formulano, si stampano… Nasce l’opinione personale, risultato della fusione tra valori personali e grado di informazione assunta. Il fenomeno del risveglio dell’Africa del nord (fascia saheliana), è in atto e in evoluzione. Le immagini che arrivano sono di piazze piene, fronti di guerra… Ma il filone più importante è quello delle spinte ideati e culturali, oltre che la fame e le esigenze della gente. E per arrivare a questo «midollo» del fenomeno, sono necessarie alcune premesse, se si vuole un po’ scontate e quindi già conosciute, ma che giova richiamare velocemente, almeno per evitare giudizi fuori dalla storia reale di quelle terre e delle nostre relazioni con la loro storia. Perché quelle popolazioni insorgono e perché arrivano massicciamente sulle sponde dell’Europa? Dico dell’Europa e non dell’Italia solamente, perché è chiaro che Lampedusa e l’Italia stessa è per molti di questi immigrati solo l’approdo per altre mete, altre nazioni, dove per alcuni abitano già partenti o amici.
Il motivo scatenante più comune a tutti i fenomeni che stanno avvenendo è - in una parola breve e vecchia, ma vera - «fame». Fame concreta, quella propria e quella dei propri figli. Questo vale in ultima analisi e vale per almeno l’80 per cento della popolazione coinvolta. La tavola dei loro capi e della loro classe dirigente è molto ben imbandita. La gente sa, vede che i propri capi sono ben forniti di ogni bendidio, sanno che essi hanno il loro fotoni di sicurezza nei propri conti in banche all’estero, sanno che i proventi derivanti delle materia prime delle loro terre vanno nelle tasche di pochi.
Il solito ritornello: nazioni ricche, popoli poveri. Popoli che stanno svegliandosi a contatto della cultura, familiarizzando con altri popoli, specie nelle fasce giovanili; popoli condotti alla rabbia e alla fuga spinti dalla fame e dalla pressione demografica. E’ cresciuta la fame e la coscienza collettiva sulle cause dei problemi.
E se il tavolo del mio vicino è coperto dall’abbondanza e il mio è spoglio di tutto, perché non allungare la mano alla tavola vicina o non spostare la propria sedia ad una tavola più imbandita? E la tavola più imbandita è quella delle proprie élites (e la rivoluzione tende così alla destituzione dei propri capi attuali), o di altre nazioni vicine più ricche di loro. Naturalmente si tende alle nazioni più vicine, più raggiungibili.
C’è poi la causa demografica. E’ risaputo che l’Europa e l’Italia in particolare, invecchia. Queste popolazioni invece hanno i due terzi della popolazione sotto i 30 anni. La storia tutta è lì a dirci che la pressione demografica, il cammino cioè dei popoli è irrefrenabile: fermerete il fuoco e l’acqua, ma ai si è riusciti a fermare le popolazioni più giovani ed affamate che buttavano ai confini. Tutta la storia, antica e moderna, di oriente ed occidente, è lì a dimostrarlo. Ma la storia ha pochi alunni disposti ad ascoltare e ad imparare..
Tutti sappiamo che da secoli l’Africa è il serbatoio di popoli e materie prime da saccheggiare. Sotto il titolo «esportazione di civiltà» o di «colonialismo» si è nascosta sempre la mano avvelenata dai propri interessi. E questa mano predona è stata sempre di nazioni del nord del mondo, soprattutto di nazioni europee dal 500 a quest parte, e da circa cent’anni di potenze del nord orientale, Russia e Cina soprattutto. E i giovani di quelle terre lo sanno, lo studiano anche nelle loro università e negli avvenimenti politici ed aconomici delle loro terre. La strategia è sempre quella: materie prime cercate a poco prezzo, creazione di una élite politica locale amica degli interessi stranieri, creazione di un esercito cui vendere armi, legittimazione del tutto con accordi esosi e disonesti. Qui il discorso sarebbe lungo ed articolato, ma essenzialmente è questo. L’occidente non ha mai né stimato né tanto meno amato l’Africa e la sua gente. Ne ha venduto
5/6 milioni come schiavi all’America, ne ha depredato forze e risorse, da sempre fino ad oggi. Anche recentemente, sotto la pressione dell’emigrazione africana, si è detto «aiutiamo questi popoli nelle loro terre», così non avran bisogno di emigrare. Ma chi si è mosso per aiutare davvero e disinteressatamente? Dietro ad un aiuto concesso, c’è sempre il molto di più che si chiede o che si sottrae. Qui gli episodi sono tanti e ben documentati.
Non va dimenticato il fenomeno del neo-colonialismo. Nel Congresso di Berlino nel 1884 le potenze coloniali si sono spartite l’Africa come si affetterebbe una torta secondo la femme dei fort: divisioni e confini illusori, spaccature artificiali di popoli ed etnie. In sostanza: fittizia libertà politica, dipendenza totale economica e culturale. Ed i giovani di quelle terre lo sanno bene. Perché tacere? Perché rimanere inerti per altro tempo? Non ci gloriamo noialtri italiani delle nostre guerre di indipendenza, del nostro risorgimento, dei 150 della nostra ritrovata unità nazionale? E per «loro» perché dovrebbe suonare un’altra musica?
Infine c’è l’aggravante per cui i governanti di quelle popolazioni - così già duramente provate - sono diventati loro stessi tiranni ed oppressori. Come non fuggire se alle spalle c’è guerra o stato poliziesco?
C’è chi sussurra che dentro a questo fiume di gente che emigra ci sono percome scappate dlla loro prigioni, persone già condannate per malefatte. Vero e bisognerà provvedere. Nelle rivoluzioni popolari le prigioni si svuotano sempre. E non è accaduto così anche nell’emigrazione italiana? Quanta gente già immischiata nelle malavita è andata a formare oltreoceano le prime file del fenomeno delle mafia americana.
Sono problemi grossi, in parte prevedibili, in gran parte causati da pieghe storiche o dall’esosità occidentale.
Sono una sfida per la carità e l’accoglienza cristiana. I modi con cui aiutare queste popolazioni, come intervenire è un campo esteso offerto alla giustizia nostra e alla nostra carità. Leggere questi fenomeni non occhiali diversi vorrebbe dire solo miopia storica o ulteriore ingiustizie.
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