“Cascina”. Il solo nome evoca un’onda di ricordi e di emozioni legate all’uomo, alla terra, alle stagioni, al ciclo della vita. Non è facile per un lodigiano affrontare il discorso delle cascine e dei problemi ad esse connessi, senza provare una fitta lancinante di amarezza. Chi per un verso o per l’altro ha conosciuto la cascina ed è stato sfiorato dalla sua realtà si è interrogato a lungo, e tuttora si interroga, sul destino di questo patrimonio che sorge dal passato e che va sempre più assottigliandosi.Per i motivi che tutti conosciamo le cascine si sono svuotate, andando incontro, con il loro abbandono massiccio, ad un repentino quanto irreversibile declino. Un tempo centri operosi e brulicanti di vita, fulcri di una socialità che le solitudini odierne neppure riescono ad immaginare, sono da decenni ormai semplicemente in balia del tempo e del degrado.Non a tutte le cascine è però toccata la medesima sorte. Le più fortunate hanno continuato a vivere grazie a quei pochi che, sulle orme di una tradizione secolare, sono riusciti a conservarle, con le dovute innovazioni, e a mantenere lo spirito che le animava. Qualcuno le ha “rivisitate” sull’onda dell’emozione e della nostalgia, qualcuno le ha utilizzate come fonte di lavoro, di produzione e di guadagno.E l’appuntamento settimanale, atteso e gradito, con gli articoli di Eugenio Lombardo sul Cittadino prova che qualcuno ha resistito all’assalto dell’era contemporanea e oggi mostra fiero il risultato di un investimento di grande coraggio e determinazione.Altre cascine hanno subito un destino più nefasto. Alcune sono completamente scomparse, demolite dall’incuria e dal tempo, crollate sotto il peso dell’indifferenza e dell’incapacità di oculata lungimiranza. Di loro non è rimasta traccia. Se ne sono andate nell’oblio, portando con sé l’armonia e il suono di una vita, la cui eco ancora risuona nelle distese silenziose della campagna, come monito a non dimenticare.Altre ancora sono state recuperate, ma il loro recupero, pur ligio ai sacri crismi e ossequiente ai dettami calati dall’alto, non di rado ha stravolto il loro aspetto, dando forma ad opere che, pur oggetto di alta riqualificazione, hanno perso lo spirito ed il cuore che un tempo contraddistinguevano la cascina e ne scandivano la vita. Trasformate in zone residenziali, per il gaudio di tanti imprenditori e agenti immobiliari, sembrano spesso strutture aride e spoglie, dalla semplice connotazione moderna e contemporanea, non conservando, dell’antica cascina, né il volto né il fascino.E che dire di quelle rimaste, fatiscenti e dimenticate, in attesa di decisioni che ne determinino la sorte? Il problema non è di facile soluzione, anche per coloro che darebbero l’anima per rivederle rinascere.Ripensare alla cascina perché ritorni al suo splendore originale e primitivo è cosa alquanto anacronistica ed inattuabile. Disseminate nella campagna, nascoste non di rado da piante secolari, protette dalla nebbia o dal silenzio di un’estate cocente, esse aspettano il loro destino di vita o di morte, rassegnate all’arbitrio dell’uomo che, dopo averle vissute ed amate, ne ha rimosso senza sensi di colpa il ricordo, alla stregua di una bellezza desiderata e posseduta, ma ripudiata al sorgere delle prime avversità o delle prime rughe e dei segni del tempo.Giorno dopo giorno, sperando in qualche inversione di rotta piovuta dal cielo e mai arrivata, si è lasciato che le cascine si spegnessero a poco a poco. Nessuno mai se ne è fatto seriamente carico, nessuno mai le ha considerate patrimonio artistico, storico, culturale, sociale. Nessuna politica seria di conservazione e recupero mirato è stata portata avanti. Alcuni anni fa il critico d’arte Mario Marubbi, che mai ha lesinato trasporto e amore per il patrimonio di questa nostra terra, si spinse in una crociata a difesa delle cascine e si fece paladino e difensore della loro sorte, conscio della perdita irreparabile di tanta ricchezza. Non so quanto la sua voce sia stata ascoltata. Basta attraversare la campagna, in qualunque direzione, per capire.Comincio allora a pensare che abbia ragione Gesualdo Sovrano, puntuale nelle sue sempre lucide e precise disamine dei problemi ambientali e non solo: “Per far rivivere le cascine bisogna tornare a viverci”. Non è affatto una soluzione aleatoria.Potrebbe anche esserci un’ulteriore alternativa: affidare le cascine alla Chiesa, come avvenne nel Medioevo; farle ritornare centri di lavoro, scuole di artigianato, ma anche luoghi di preghiera e di meditazione. Un ritorno dunque al silenzio, alla natura, alla pace, a quell’ “ora et labora” di cui l’uomo di oggi ha estremo bisogno.
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