Colatore Muzza, una distruzione

Caro direttore, mi chiamo Marco Ferrari e sono lodigiano. Sono un biologo e nella vita ho fatto l’insegnante, il ricercatore e ora il giornalista; un collega, quindi, se pure in trasferta. Ho lavorato e diretto qualche rivista nazionale di buon livello e ho dedicato la mia vita allo studio e alla divulgazione della natura e della biodiversità. Ora sono caposervizio scienza di Focus, una rivista di divulgazione scientifica di larghissima diffusione. Conosco bene, anche se vivo da anni nell’area milanese, i residui lembi di natura e wilderness della pianura lodigiana e il sistema idrologico del Colatore Muzza, nel tratto che se ben ricordo va da Massalengo a Castiglione d’Adda, ha sempre rappresentato un raro, rarissimo esempio di vera e autentica rete ecologica. Si tratta di una zona di notevole interesse paesaggistico, con singoli spunti di interesse storico (ad esempio alcuni ponti canali in zona di Mairago, che risalgono al 1300-1400) e alcune aree dove boschi anche di elevata maturità si sono salvati per miracolo negli ultimi trent’anni. È anche per questo che circa vent’anni fa ho scritto Natura nel lodigiano, per la Banca di Credito Cooperativo del Basso Lodigiano.Ho sempre guardato al colatore Muzza con un po’ di timore. Ogni volta che passavo nel Lodigiano, cercavo di capire se fosse ancora tutto come prima, aspettandomi sempre, da un momento all’altro, di trovare la solita spianata di massi, cemento e rive pelate con qualche tristissimo e agonizzante alberello piantato solo per poter usare la magica parola “ripiantumazione”.Negli anni, che ormai sono tanti, mi ero illuso che il territorio avesse compreso l’importanza del Colatore Muzza. Sapevo da miei ex studenti che la Provincia di Lodi aveva in progetto un Parco Locale di Importanza Sovracomunale, avevo visto svilupparsi lungo le sue rive un’interessante rete di vie ciclopedonali. In poche parole, memore di antiche battaglie per la tutela di zone umide e boschi lodigiani, come la Riserva di Monticchie, mi ero illuso che il passato fosse ormai sepolto e che una nuova consapevolezza, nuove competenza, nuove sensibilità avessero trasformato il Colatore Muzza in quel che è; una testimonianza storico-ambientale del paesaggio Lodigiano.Scopro in questi giorni che le speranze, in questo paese, sono pericolose. Ho visto, quando ormai non avevo più alcun timore sul suo futuro, le rive del Colatore Muzza squarciate da macchinari che sono più larghi e grossi del colatore stesso. Filari ultradecennali e boschi lineari spazzati via sotto la Colombina, dove perfino gli uomini di 100 anni fa, che non ci andavano tanto per il sottile con la natura, avevano inserito armoniosamente una centrale elettrica nel contesto del Colatore. Scrivo a questo giornale, che ha sostenuto tante battaglie per la difesa del paesaggio lodigiano, perché tutti siano consapevoli del fatto che la nostra terra sta perdendo per sempre l’ultimo legame con una storia forse secolare. E che non ci sarà alcuna mitigazione, alcuna fruizione, alcun buon intento che possa colmare la perdita che il Lodigiano sta subendo con la distruzione del Colatore Muzza. Sono ancora lodigiano, dopo tanti anni. E amo la mia terra d’origine, come tanti lodigiani. Vorrrei che questa volta fossimo tutti lodigiani, non solo gli ambientalisti, a chiedere con forza la revisione totale del progetto in atto. Lo chiedo, anche a nome di molti componenti del gruppo Facebook “Salviamo la Muzza” che ho costruito in questi giorni. Chiedo ai lodigiani di dire una parola, un racconto, di esprimere contrarietà al progetto e di contribuire al suo blocco o profonda revisione. Farà bene a tutti noi, al colatore Muzza e anche alle tante istituzioni pubbliche e private che hanno finanziato, probabilmente e sperabilmente senza saperne gli effetti, questo progetto di “riqualificazione ambientale”. Ti ringrazio per l’attenzione.

Sul «Cittadino» l’intervento di un lodigiano, esperto di natura e di biodiversità e giornalista di Focus

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