Cittadinanza, non un titolo fatto di carta

Una pesante burocrazia, non una buona legge, penalizza l’accoglienza. Prima delle feste natalizie, era già intervenuto il presidente della Repubblica. Aveva lanciato un messaggio per riconoscere la cittadinanza italiana a tutti i bambini stranieri nati in Italia. Per la verità la proposta era stata accolta in modo non molto entusiasta dal presidente Monti, forse consapevole delle diverse reazioni che avrebbe suscitato nell’anomala maggioranza bipartisan che lo sostiene.Eppure oggi il ministro Riccardi rilancia la proposta: “I minorenni figli di cittadini stranieri sono il 7,5% della popolazione scolastica”.In realtà, mi pare che questa proposta abbia ben poca utilità pratica e che non migliori la situazione degli stranieri, anzi crei diversi problemi.La cittadinanza è uno status giuridico importante, perché a essa sono collegati una serie di diritti (ad esempio, elettorato attivo e passivo), che si aggiungono ai diritti umani che spettano a tutte le persone in quanto tali. Essa rappresenta la caratteristica peculiare di una data comunità di persone legate da una storia e una tradizione ben precise. Alla base della cittadinanza c’è l’idea di fedeltà al Paese e alle proprie leggi, come ben sottolinea l’art. 54 della Costituzione, “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi”. In sostanza, alla base della cittadinanza c’è l’idea di appartenenza.La prima riflessione è dunque che la cittadinanza non è un semplice titolo di carta, che può essere distribuito come un volantino propagandistico. Mi pare che oggi sia spesso uno sport nazionale quello di fare a gara a chi concede con più larghezza la possibilità di diventare italiani: bastano 5 anni di permanenza in Italia, basta nascere in Italia, diamo l’elettorato e il voto anche senza cittadinanza... tanto siamo tutti uguali. Certo, ma ciò non vuol dire che dobbiamo essere anche tutti italiani.L’egualitarismo universale, l’indistinzione a priori ha solo provocato molti danni nella storia dell’uomo, così come oggi ne sta provocando la globalizzazione.In secondo luogo, mi pare che quello sollevato sia un falso problema.Già con l’attuale legge 91/1992, i bambini che nascono in Italia e che rimangono a vivere in Italia, possono diventare italiani al compimento del diciottesimo anno di età. A chi giova far acquisire loro la cittadinanza durante la minore età, quando non possono ancora esercitare i diritti a essa connessi?Regalando la cittadinanza agli inconsapevoli bambini stranieri, le cui famiglie magari non la vogliono o comunque vogliono mantenere la propria, non si farebbe un buon servizio. Tanto più che quei bambini godono comunque – ovviamente – di tutti gli stessi diritti e servizi dei minorenni italiani.Per quanto riguarda poi i minori stranieri di seconda generazione, che – si dice – sono quindi perfettamente integrati in Italia e sono più italiani degli italiani, ci si chiede per quale motivo debba riconoscersi loro la cittadinanza, quando il proprio nucleo familiare, pur in Italia da lungo tempo, non ha mai chiesto di diventare italiano. Si ricorda, infatti, che la cittadinanza si acquisisce anche da parte di qualunque straniero che sia in Italia da almeno dieci anni. Una volta acquisita la cittadinanza o dal padre o dalla madre, il bambino nato in Italia è italiano.È poi ovvio che la sorte dei minori stranieri è legata a quella del loro nucleo familiare. Se il nucleo familiare è stabile e integrato in Italia da almeno un decennio, la cittadinanza è acquisibile in ogni momento e – come sopra visto – non ha molto senso riconoscerla “prima” al minore nato in Italia. Se il nucleo familiare non è stabile o è da poco tempo in Italia, riconoscere la cittadinanza al minore nato in Italia, comporterebbe grossissimi problemi. Se i genitori non hanno il permesso di soggiorno o hanno perso i requisiti per mantenerlo, potrebbe verificarsi l’ipotesi di una possibile divisione della famiglia, con l’allontanamento dei genitori del minore ormai italiano. Oppure dovrebbe riconoscersi automaticamente il permesso di soggiorno anche ai genitori del minore italiano, in virtù del principio di unità familiare, pur in mancanza dei requisiti minimi per poter vivere, lavorare e mantenersi, con tutto ciò che ne consegue. Ciò tra l’altro alimenterebbe la speranza di venire in Italia al solo scopo di far nascere il proprio figlio per poi acquisire il permesso di soggiorno.Un conto è aiutare e sostenere chi comunque si trova in Italia in queste difficili e precarie situazioni di vita e di lavoro, indipendentemente dal fatto che si tratti di italiani o di stranieri. Un conto è il fatto che lo Stato stesso, con le proprie leggi, crei e faciliti l’incrementarsi e l’aggravarsi di queste situazioni. Sostenere che il problema dell’integrazione si risolva attraverso la concessione di uno status giuridico è fuorviante e ideologico. Se proprio si vuol por mano alla cittadinanza mi pare più costruttivo provare invece a eliminare le lunghezze e le pesantezze burocratiche che frenano le richieste di tante persone che pur vorrebbero veramente diventare cittadini italiani.

© RIPRODUZIONE RISERVATA