Cinquecento articoli sulla scuola

La scuola, nel bene e nel male, rappresenta sempre il meglio della storia di un paese e questo proprio in virtù della sua vocazione educativa e formativa esercitata da figure importanti che finiscono per diventare veri punti di riferimento: i docenti. Un lavoro che richiede pazienza, disponibilità, passione, ma soprattutto collaborazione da parte dei genitori che devono aggiungere presenza, comprensione, equilibrio. La famiglia, quindi, primo nucleo educativo che spesso sbaglia, rifugiandosi nella delega. Ma l’educazione non è delegabile. Ho raccontato tutto questo in cinquecento articoli e continuerò a raccontarlo convinto, come sono, che scuola e famiglia rimangono, nonostante certi processi disgreganti in atto, due tra le istituzione fondamentali per la formazione del futuro cittadino. Un traguardo raggiunto nel tempo, di venerdì, sotto la rubrica settimanale «Parola di preside». Il primo articolo viene pubblicato giovedì 31 gennaio 2002 dal titolo «Raccordo tra scuola di base e scuola secondaria». Un tema, quello dell’orientamento, molto sentito dalle famiglie. La scelta della scuola superiore è vissuta sempre con piglio problematico dai genitori che vorrebbero vederla spostata in avanti di qualche anno. Non sarebbe male, per questo, pensare a un biennio comune indipendentemente dall’istituto scelto al termine della scuola media per poi scegliere al terzo anno l’indirizzo specifico. Intanto a furia di scrivere si arriva all’articolo numero 100, «Scuola privata: una frontiera da esplorare», pubblicato venerdì 15.09.2006. Il problema della parità scolastica ancora oggi, nonostante l’approvazione della legge 62/2000 dell’allora Ministro Luigi Berlinguer, mostra i suoi lati deboli. Recentemente i vescovi della CEI con la nota pastorale «La scuola cattolica risorsa educativa della Chiesa locale per la società», diffusa il 30 luglio scorso dalla “Commissione episcopale per l’educazione, la scuola e l’università”, hanno lamentato le enormi difficoltà in cui operano le scuole paritarie a causa degli scarsi finanziamenti dello Stato. Molte scuole cattoliche hanno già chiuso i battenti e tante altre rischiano la chiusura proprio per l’ottusa politica di un mancato riconoscimento dell’opera che svolgono queste scuole. E articolo dopo articolo si arriva a venerdì 5 settembre 2008 con l’articolo n° 200 «E adesso che si giri pagina». Sono gli anni cruenti della Ministra Maria Stella Gelmini. Una serie di decisioni ministeriali toccano la scuola tanto da far pensare di essere alla vigilia di una vera e propria rivoluzione copernicana. E in effetti qualcosa cambia. Rientra dalla finestra il voto in condotta cacciato dalla porta con “Lo statuto delle studentesse e degli studenti”; viene reintrodotta la figura del maestro unico che manda in pensione il sistema dei moduli a più maestri; ritornano gli esami di riparazione per quelle materie che dal Ministro D’Onofrio erano state individuate come debiti formativi senza un effettivo recupero; riprende importanza il rigore e il merito nella scuola. Sono solo alcune delle disposizioni legislative che cambiano non solo la scuola, ma anche la cultura scolastica. E siamo a venerdì 3 settembre 2010 quando viene pubblicato l’articolo n°300 «Quando la polemica è dannosa». La mia attenzione cade su un gruppo di presidi emiliani che prendono posizione contro l’allora Ministro Gelmini per i vari decreti attuativi messi in campo e ovviamente dagli stessi non condivisi. Si ripropone l’annoso problema tra il diritto al dissenso e il rispetto del proprio ruolo professionale. L’iniziativa minacciata dai miei colleghi è di quelle che fanno rumore. Chiudere gli istituti il primo giorno di scuola in segno di protesta contro il Ministro. Una protesta sciagurata. Lo spirito della protesta va tutelato, ma il fatto concreto che un preside metta mano a una minaccia è di per sé enormemente fuori portata pedagogica. A questo punto il traguardo dei 500 articoli si fa concreto. Ma bisogna prima passare da quattrocento. Ci arriviamo venerdì 17 agosto del 2012. L’argomento trattato è un po’ particolare: «Un corso di formazione per le lucciole». Evidentemente anche le «lucciole» per fare carriera devono essere istruite. La notizia è di quelle che lasciano interdetti. Un corso finanziato con i fondi sociali europei ritenuto in Germania utile e formativo per meglio mettere a nudo le proprie grazie di chi trova interesse nelle pratiche consolatorie. Evidentemente in Germania c’è chi si preoccupa di trasformare le lucciole in «augustae meretrices», utilizzando fondi pubblici. Possibile che anche questo lo vuole l’Europa? Meglio Socrate che davanti all’invito di un’etèra (una lucciola di quei tempi) che lo invitava a mettere a nudo il suo corpo rispose: «perché non ne mettiamo a nudo l’anima e la contempliamo prima del fisico?» Grande il nostro filosofo anche se francamente non so se dopo l’animo abbia contemplato anche il corpo a rischio di prenderle da sua moglie Santippe. E veniamo a oggi venerdì 8 agosto 2014 con l’articolo n°500. A voler dare un titolo avrei pensato allo scoppio della «Guerra tra i precari del nord e quelli del sud». Un confronto che si ripresenta ciclicamente ogniqualvolta si assiste all’esodo di migliaia di docenti precari che dal sud scelgono l’inserimento nelle graduatorie delle province del nord. Una scelta legittima fondata sulla certezza di vivere un momentaneo disagio reso sopportabile dalla convinzione di migliorare la propria posizione nelle nuove graduatorie e sperare così in una sistemazione definitiva. E qui nasce il problema. Moltissimi di questi nuovi inserimenti finiscono per ricacciare indietro i precari locali che si vedono così sfumare sotto il naso la possibilità dell’entrata in ruolo. Il risultato è la speranza degli uni contrapposta alla rabbia degli altri. Un fenomeno negativo che impegnerà non poco la Ministra Stefania Giannini chiamata in causa da politici locali e sindacati a tutela di chi cerca una legittima aspirazione indipendentemente dalla regione di provenienza. Come si vede sono problemi che si pongono e si ripropongono, che per anni e anni un governo lascia in eredità all’altro, che un ministro consegna nelle mani all’altro, che una generazione di docenti condivide con un’altra senza che mai venga trovata una soluzione. Ho raccontato, racconto e continuerò a raccontare la scuola, i suoi problemi, i suoi valori, le ansie e le speranze che nutrono i suoi attori, docenti e genitori prima di tutto. L’augurio è che possa raccontare un giorno una scuola diversa, una scuola restituita al suo autentico spirito educativo, una scuola espressione della propria comunità: la comunità educante.

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