Ci sono in giro più cani che bambini

Ci sono in giro più cani che bambini. Dalla montagna alle passeggiate in città passando per le spiagge, questa estate conferma visivamente il trend demografico negativo denunciato dall’Istat. Il cucciolo di casa ormai ha quattro zampe e non è un bimbo che sta gattonando in attesa di conquistare faticosamente la posizione eretta. Una volta si diceva che le giovani coppie prendessero un cucciolo per impratichirsi in vista del bimbo, oggi spesso manca lo step successivo. Una bestiola, soprattutto in città, è sicuramente impegnativa sotto molti punti di vista: bisogna portarlo fuori per i suoi bisogni e raccoglierne le deiezioni, spazzolarlo, tagliargli le unghie e il pelo, nutrirlo adeguatamente soprattutto se di razza dallo stomaco cagionevole, evitare di lasciarlo solo troppo a lungo per non farlo soffrire di solitudine, vegliare sulla sua salute. In cambio si riceverà amore incondizionato, affettuosità, code scodinzolanti e sguardi adoranti, per finire con la conquista esponenziale di “punti socialità” nel grande gioco delle frequentazioni. In qualunque contesto lo si porti, infatti, gli interlocutori si sdilinquiranno in coccole e gridolini e complimenti carichi di squillante innamoramento: “amooore!!!”, “bello che è!”, “lo posso accarezzare/tenere/strapazzare vero?”.Ecco, con un bambino ciò è molto raro.Una coppia con figlio piccolo al seguito, in ambiente non collaudato, di solito provoca reazioni molto diverse da quanto descritto sopra. Reazioni che vanno dall’alzare gli occhi al cielo (“Ma proprio qui dovevano venire?”) ai sorrisetti di compatimento (“Poverini, chissà che vita sacrificata”), per culminare nelle invocazioni di pseudo numi tutelari nei casi più gravi (“Dov’è Erode quando serve?”). Ovviamente la funzione matematica che descrive questo meccanismo prevede un moltiplicatore di negatività legato al numero di figli (“Siamo già troppi su questa Terra!”) e una variabile positiva in caso di neonato dormiente (“Che carino… ma è sempre così buono?”). Ora, capiamoci, se per “buono” si intende silenzioso e beatamente russettante la risposta è no. Non è un carlino, ma un bambino. Come tale spesso si trasforma in un mostro urlante per motivi che spesso esulano dalla fame e dalla necessità di essere cambiato e cui non si ha idea di come porvi rimedio, salvo camminare saltellando per tutta casa muovendo a ritmo le braccia e cantando qualunque cosa nella speranza di imbattersi in un motivetto gradito che lo addormenti per almeno due ore filate. Fino a che si sveglia e il gioco dell’oca ricomincia da capo. “Diventare padre significa diventare monco. Da un mese a questa parte ho solo un braccio, l’altro regge Bruno”, scrive Daniel Pennac ne “Storia di un corpo”. Oltretutto, come nelle migliori discipline sportive, il coefficiente di difficoltà è destinato ad aumentare durante la crescita. Perché un cane può essere invadente perché troppo giocherellone, ingombrante perché di stazza notevole e inamovibile dal divano, fastidioso perché ha proprio bisogno di uscire esattamente nel bel mezzo dello snodo centrale del film, ma salvo uggiolii e qualche latrato, si fa i fatti suoi e tace per la maggior parte del tempo. Un bambino no. Chiunque abbia a che fare con un cucciolo d’uomo dai tre anni in su sa che è come trovarsi chiusi in una stanza con una radiolina semovente inarrestabile, sintonizzata su un programma senza interruzioni, con infinite domande e nessuna possibilità di trovare il pulsante “off”. Un cane non ti chiede cento volte al giorno “perché”, non canta a squarciagola canzoncine inventate, non richiede la tua attenzione continua senza preoccuparsi minimamente del dispiego di energie in campo. Al secco richiamo autoritario convenuto (il caro, vecchio, “a cuccia” pare funzionare sempre) il canide si accuccia, appunto, e lì sta. Tale sistema non sortisce analogo effetto su esemplari umani di giovanissima età, che anzi, spesso, crescono nell’anarchia dell’essere diversamente educati. Una prerogativa di cui troppi genitori si fanno un vanto e che contribuisce inesorabilmente alla cattiva stampa che circonda i bambini nei luoghi pubblici come ristoranti, alberghi o aerei. Non a caso è proprio in questi settori che si moltiplicano con successo le offerte “animal friendly” e “child free”. Siamo una generazione cui sembra mancare la pazienza e a volte preferisce vincere facile. E dire che siamo cresciuti felicemente in un mondo in cui i cani non avevano nomi da bambini, ma ne erano gli inseparabili compagni di giochi.

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