Ci dobbiamo preoccupare, allarmare?

Per fronteggiare il terremoto finanziario dei mercati il governo è stato costretto a stringere i rubinetti. Memore anche degli impegni assunti in occasioni diverse, ha messo il timbro sulla soppressione delle Province. Prima su tutte, poi su un numero limitato di esse, tra cui Lodi. Quello delle Province è un tormentone che si trascina da anni, dal quale sembriamo incapaci di uscirne fuori. Ci dobbiamo allarmare, preoccupare, risentire? C’è chi le Province le vorrebbe eliminate tout court, chi ridisegnate territorialmente o nelle sole competenze, chi incorporate (Piacenza con Parma, Lodi con Cremona o addirittura con Cremona e Mantova, Lodi con Crema, Como con Lecco e Varese); c’è chi le vede “policentriche”, chi le invoca “polifunzionali”, chi, tranchant, le giudica una istituzione napoleonica o le considera un doppione di burocrazia e di costi; chi le vorrebbe “ripensate” all’interno di un riordino delle autonomie; chi combatte la loro liquidazione per opportunità politica, chi per salvaguardia di sedie poltrone e sgabelli; chi ne prende le difese invocando l’organizzazione istituzionale (in Italia incentrata tutta su base provinciale). C’è anche chi sottolinea le esigenze di riordino territoriale: sono effettive e improcrastinabili per un funzionamento meno dispendioso del sistema italiano delle autonomie territoriali, ma non possono essere affrontate con misure semplificatorie. E c’è infine chi, dietro a questo assioma, si destreggia affinché le cose rimangano come sono. Meglio, com’erano prima della Spending Review.

Si sarebbe dovuto ricorrere a una legge costituzionale, che però richiedeva tempi lunghi. Pretendeva un “progetto” e una prima legge da approvare con procedura aggravata (all’art. 138 della stessa Costituzione). Impensabile, visti i tempi biblici del nostro Parlamento. Il governo con aura “tecnica” ha pensato così di ricorrere a un artificio “politico” riducendo il processo di riforma e di razionalizzazione alla logica dei tagli e della pura e semplice riduzione dei costi. Sterile? Se sterile si vedrà. Senz’altro abborracciato da aver costretto i professori a ripetuti rimaneggiamenti, ritocchi, riadattamenti, ricomposizioni. Un vero “longseller” per esperti di diritto pubblico comparato.

La decisione di ridurre il numero delle Province ha originato a livello politico locale e genericamente di opinione pubblica un vago confronto di posizioni che a noi (che non siamo degli esperti) sono sembrate abbastanza indistinte, utili più che a far capire a dare sfogo a sensibilità localiste e a slogan costruiti sulla comunicazione. Non stupisce pertanto che il dibattito vero abbia stentato ad affermarsi e quando qualcuno lo ha incoraggiato non ha raggiunto livelli di interesse dei cittadini e delle imprese. Né poteva essere differentemente dal momento che è stato facile considerare la prospettiva più una forma di delegittimazione del territorio che un pasticciaccio costituzionale di sapore gaddiano.

Probabilmente sarebbe stato così anche se i protagonisti avessero vangato meno il terreno della politica tout court e delle opportunità e più i significati del governo locale, della autonomia, del decentramento e del self-government. C’è forse oggi un criterio, un metro per misurare la qualità di una riforma o di un provvedimento?

Ogni riforma dipende dalla forma. Una legge di riforma di un ente locale non può che avvenire all’interno di una legge di riordino delle autonomie che garantiscano funzioni, efficienza ed equità da equilibrare le forze e gli interessi di un territorio. E’ evidente che non si può sopprimere un Ente che ha una sua storia e una valenza rappresentativa unitaria di un preciso contesto geo-politico, solo per un indistinto calcolo ragionieristico. Ma neppure si può continuare a reggerlo in piedi così com’è con motivazioni di piccolo calcolo politico.

Delle “promesse mancate” della Provincia di Lodi si potrà anche dire. Ciò che non si può disconoscere è che dalla sua creazione essa ha avuto un approccio decisivo per combinare vantaggi politici ed economici dei Comuni e degli enti collegati, mantenendo al territorio la sua identità di realtà sub-regionale. Il suo ruolo ha permesso interventi (non sempre facili, non tutti condivisibili) che hanno guidato processi di decisione e di scelta delle modalità all’interno dei confini e delle assegnazioni in connessione con la Regione. Il federalismo (fiscale) avrebbe dovuto fornire gli strumenti per «l’applicazione del principio in materia di governance”. Ma, come sappiamo, già prima della crisi e della Spending Review nessuno più ne parlava.

Ciò che fa temere è che un intervento riformatore dovrebbe essere suggerito e partire da una corretta definizione delle funzioni amministrative e dalla individuazione degli ambiti territoriali ottimali per il loro svolgimento, mentre quello sulle Province è stato giustificato puramente in termini di costi economico-finanziari, devolvendo all’autonomia legislativa regionale, (entro limiti dimensionali minimi precisi) il compito di “disegnare” il sistema regionale delle autonomie territoriali”, quasi che le Regioni avessero fin qui dimostrato una qualche particolare capacità di normazione.

Che il sistema delle autonomie abbia bisogno di riforme, è senz’altro vero. Lo dice soprattutto l’osservazione della realtà. Anche se la vera emergenza è soprattutto morale. Ciò che è assolutamente da evitare anche in tema di riordino delle autonomie è che opacità, complicazioni, difficoltà a capire favoriscano ancora una volta chi vuol vendere merce deperibile.

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