Mai come in questi giorni sono le Linee Guida per la chiamata diretta da parte dei presidi a dettare l’agenda alle segreterie scolastiche impegnate in un surplus di lavoro non programmato, ma necessario. Tuttavia il problema di fondo è uno. Un problema che ha causato la rottura delle trattative tra il Ministero e i sindacati ovvero l’eccessivo potere lasciato in mano ai presidi anche sulla procedura delle nomine dei docenti. Una procedura che, secondo i sindacati, si tramuta in una malefica azione in mano al «nuovo despota» che agisce senza un contraddittorio, al «deus ex machina» leader indiscusso di una trama complicata come quella delle nomine, al «dispensatore di arbitrii» pronto a servirsi della libertà concessa per procedere ad personam come personal trainer di amici, parenti o famigliari. Eh la miseria! Esagerato! Per i sindacati, più che mai imbufaliti, è come mettere in mano al preside una libertà di azione che potrà sfociare in un abietto clientelismo a danno di chi spera e crede in un giusto e corretto procedere. Per molti docenti, invece, questo sistema richiama una variabile non accolta ovvero l’oggettività terza a cui poteva essere demandata l’assunzione delle nomine. Non lo nascondo. Il problema è delicato e potrebbe essere esposto ad abusi da parte di qualche preside senza scrupoli, tuttavia non è più tempo di nominare in modo anonimo, facendo riferimento ad una graduatoria costruita su nomi e cognomi, numeri e punteggi senza che un minimo di selezione possa trovare nelle esigenze della scuola, la svolta per meglio rispondere alle odierne sfide di natura metodologica e didattica. E’ una prerogativa da vedere più come una specifica procedura riconosciuta che come un privilegio concesso. A dirlo è proprio la legge sulla «Buona Scuola» che su questo argomento non lascia spazio a libere interpretazioni in quanto appare chiara la volontà del legislatore. E chi meglio di un preside attento e responsabile può avvalersi di questa prerogativa? Eppure i timori sono tanti a tal punto da promuovere un’iniziativa referendaria anche per abolire la chiamata diretta. Perché inquieta così tanto questa procedura? Non è facile trovare una esaustiva risposta. Forse perché molti non sono contenti del modo di agire dei presidi? O forse perché il lavoro che svolge un preside non soddisfa, non genera fiducia, anzi dalle tante reazioni registrate in questo primo anno di applicazione della «Buona Scuola» sono emerse critiche piuttosto forti al punto da paragonare il preside «al Buono, al Brutto, al Cattivo» espressione di «spaghetti western» alla Sergio Leone, se non addirittura ad un sinistro dittatore dei tempi moderni, col risultato di aver contribuito a mistificare fatti e persone, concorrendo a distorcere l’autentica interpretazione che la norma riserva a questo ruolo. A preoccupare tutti è l’eccessivo potere che i presidi si troverebbero tra le mani nel gestire la chiamata diretta dei professori. Una gestione che lascia presagire cattivi pensieri. Quindi i presidi sono ritenuti responsabili del far male il proprio lavoro al punto da non meritare né la fiducia dei sindacati, né l’approvazione di tanti docenti. Cosa si contesta dunque al preside? Il potere! Questo è dunque il male oscuro. Detenere il potere, ovvero possedere qualcosa che va oltre il significato materiale del termine. Qui siamo di fronte all’esercizio dell’autorità. Ciò che si contesta è soprattutto quello di cui si ha più paura, ovvero quello di veder fare fino in fondo ciò che la legge ha concesso a un preside di fare, fino a raggiungere il suo obiettivo. Quale? Per esempio assicurare ai ragazzi buoni insegnanti tramite una scelta e non più tramite il rispetto di una graduatoria; assicurare ai ragazzi il Maestro, quello con la M maiuscola, quello che lascia un segno, che sa trasmettere la passione per lo studio, che sa sorprendere quando dice le stesse cose sempre in modo nuovo, che ognuno spera di incontrare nella vita scolastica dalle elementari all’università, che non si annoia e non annoia nel fare un’ora di lezione. Diceva Giovanni Gentile, grande pedagogista sul cui capo pende una cappa scura, «mi accorgo di aver fatto una buona ora di lezione se ho imparato qualcosa». E questo è il potere? Questo ciò che spaventa? Forse che spaventa l’idea di un preside che applica la legge per cercare una risposta professionale là dove c’è un vuoto culturale? Forse che spaventa l’idea di un preside che sa «padroneggiare» la normativa? In ultima analisi spaventa l’idea di un potere professionale che è cosa ben diversa dal potere dittatoriale sentito come rischio presente nell’applicazione della norma. Un rischio certamente reale reso concreto da esempi di certi «cattivi» presidi che non sono mancati e mai mancheranno. Del resto questa nuova visione culturale della gestione del potere da parte del preside nella scuola di oggi rompe il vecchio schema dell’auctoritas finora vissuta e riconosciuta. E questa non è una contraddizione. Perché se per auctoritas intendiamo anche «augere» ovvero accrescere, generare un rapporto costruttivo tra chi esercita questo potere e chi da questo potere è conquistato, allora si capisce meglio il suo significato. Qui l’errore che si sta commettendo è quello di far passare come demoniaca, violenta, una necessità di rivedere un sistema di reclutamento che passa anche da un colloquio e quindi da un confronto. Ma se il fine è quello di assicurare ai ragazzi un rapporto didattico meno casuale dovuto a una graduatoria fatta di numeri, allora la proposta del Ministero è certamente la risposta che tutti aspettavamo. E’ la soluzione che serve alla scuola poiché entra in sintonia con la ricerca dell’ottimale, resa concreta dal Piano Triennale dell’Offerta Formativa su cui puntano i collegi docenti. Noi presidi siamo, comunque, consapevoli dei rischi che corriamo nell’esercitare questo tanto vituperato «potere» che pure vuol dire anche sviluppo, crescita, disponibilità a trovare nuove soluzioni. Sarebbe opportuno porre fine a questa angoscia che genera disagio e divide la scuola, che crea antagonismi, che la fa apparire sorretta quasi da leggi anonime, che la fa apparire come un apparato grigio e che finisce per allontanarla dalla famiglia. Sarebbe ora di finirla con questa storia mediatica del potere che portato all’esagerazione genera ambiguità e appanna la legittimità.
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