Chi specula sulla fame dei poveri

Scommettere sul cibo. Niente di più facile. Basta anticipare la salita o la discesa dei prezzi dei beni alimentari, attraverso investimenti e opzioni commerciali come lo scambio e la compravendita di contratti futures sulle materie prime. Un tipo di operazione che viene compiuta tutti i giorni, con sempre maggiore frequenza – e senza che ci sia bisogno di sottostare a particolari regole – da grandi società finanziarie ma anche da singoli risparmiatori, a volte ignari dell’impatto che queste “scommesse” provocano sulla vita di intere popolazioni. Nel nuovo millennio la fame ha nuovi volti e nuove cause. C’è quella dovuta a scarsità di cibo, carestie e cambiamenti climatici. E c’è la fame virtuale, artefatta, frutto della speculazione finanziaria sui beni alimentari.Il cibo – la Fao lo dà per certo – costerà sempre di più nei prossimi anni. Secondo le previsioni dell’Agricultural Outlook, nel decennio 2011-2020 il prezzo dei cereali aumenterà del 20% e quello della carne del 30%.«A incidere sono diversi fattori – spiega Riccardo Moro, economista, uno dei promotori della campagna di informazione “Sulla fame non si specula” –, dall’aumento della popolazione mondiale ai cambiamenti di abitudini alimentari in grandi paesi come Cina e India (le cui popolazioni richiedono più carne e più latte) all’aumento della domanda di biocarburanti (che necessitano di ampie superfici di coltivazione, spesso sottraendo terra alla produzione per scopo alimentare). Ma c’è anche un fenomeno nuovo: le improvvise e in un certo senso inspiegabili impennate dei prezzi dei beni alimentari».Ciò è diventato evidente per la prima volta nel 2007-2008, biennio in cui i prezzi dei cereali e di molte derrate alimentari raddoppiarono, e in qualche caso aumentarono anche di più, per poi ridiscendere bruscamente in pochi mesi. Non è una coincidenza se il 2008 è stato l’anno delle crisi alimentari e delle cosiddette “rivolte del pane”. Alla borsa merci di Chicago, che fa da riferimento per i prodotti agricoli, il valore del grano triplicava e in paesi come Egitto, Messico e Filippine il costo dei benialimentari di base diventava proibitivo per centinaia di migliaia di famiglie. Lo stesso fenomeno si è riproposto alla fine del 2010: i prezzi di mais e grano hanno ricominciato a crescere, facendo registrare improvvisi picchi e arrivando a superare i massimi storici nel primo semestre 2011. Poi, negli ultimi cinque mesi dell’anno, i prezzi delle commodities hanno cominciato a scendere in modo drastico, raggiungendo a novembre i livelli più bassi degli ultimi 13 mesi.Perché i prezzi aumentano tanto e in modo così irregolare? C’è una scarsità di cibo tale da rendere rare, e quindi più preziose e care, le derrate alimentari?In realtà nel 2008 la produzione mondiale era addirittura aumentata. E anche nel 2011 è stata pressoché costante. Per cercare una spiegazione bisogna dunque guardare altrove. Anche ai mercati finanziari.«I fattori che esasperano le variazioni dei prezzi sono la speculazione sulla compravendita di titoli derivati legati ai beni alimentari e le scommesse sui futures, ovvero i contratti che fissano oggi il prezzo con cui un operatore si impegna ad acquistare domani un certo bene, per esempio il grano – spiega Oliver De Schutter, relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto al cibo –. Questi strumenti avevano una funzione utile finché permettevano ai produttori e ai commercianti di proteggersi dai rischi e sapere su quale prezzo base effettuare gli scambi, ma da una decina d’anni i mercati finanziari hanno cominciato a vivere di una vita propria, mettendo in secondo piano il mercato reale».La compravendita di titoli derivati legati ai beni alimentari in alcuni casi si traduce in una specie di gioco d’azzardo.«Quando gli operatori privati o istituzionali vedono che un gran numero di contratti futures sono scambiati, e che altri attori finanziari stanno scommettendo sugli aumenti dei prezzi, tendono al panico – dice il responsabile Onu –, così ritardano le vendite e stoccano il cibo, perché credono di essere di fronte a una scarsità. Se tutti i venditori trattengono i loro stock e tutti i compratori cercano di crearsene, si crea una scarsità artificiale: c’è abbastanza cibo, ma ce n’è troppo poco sui mercati finanziari per compratori interessati. Il risultato è che i prezzi s’impennano: può essere solo il risultato della speculazione, ma ciò influenza di fatto le reazioni dei commercianti e dei governi sui mercati fisici. Dopo alcuni mesi, la legge della domanda e dell’offerta legata alla disponibilità reale dei prodotti riprende il sopravvento, la bolla esplode, il panico finisce. Ma nel frattempo i paesi poveri, soprattutto quelli che dipendono per la propria sicurezza alimentare dall’importazione di cibo, sono andati incontro a enormi problemi e molte famiglie sono entrate nel circolo vizioso della povertà, perché non sono più riuscite a soddisfare i propri bisogni alimentari».La Banca Mondiale ha calcolato che nel primo semestre 2010 ben 44 milioni di persone sono finite in povertà come conseguenza dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari. Ma come fare per evitare tutto ciò? «È necessario che i mercati finanziari funzionino in modo più trasparente e rispettino alcune regole», afferma De Schutter. Il G20, l’anno scorso, ha raccomandato di studiare la possibilità di imporre “limiti di posizione” agli attori finanziari, facendo in modo che un determinato operatore non possa detenere più di un certo numero di derivati o futures. «Ciò impedirebbe agli speculatori di manipolare i prezzi con la promessa di comprarevaste quantità di certi prodotti come grano o mais o influenzando il prezzo delle commodities semplicemente mettendo in campo il proprio peso finanziario», chiarisce Riccardo Moro.Un’altra proposta è garantire una maggiore trasparenza sui mercati dei beni alimentari, obbligando sia i governi che gli operatori privati a fornire informazioni sulla produzione reale e sulle scorte effettive dei prodotti agricoli: una migliore informazione, in proposito, ridurrebbe le “nevrosi” del mercati e rendere la speculazione meno attraente.Ma l’iniziativa più concreta oggi in campo è quella del Commissario ai mercati interni dell’Unione europea, Michel Barnier, che da un paio d’anni si è fatto promotore di una proposta per migliorare la trasparenza e l’affidabilità dei prodotti derivati legati alle materie prime. La sua proposta potrebbe diventare legge nel 2012, ma sta incontrando molte opposizioni da parte delle lobby finanziarie.«Il problema è che finora questi argomenti sono stati appannaggio solo degli addetti ai lavori – afferma Valérie Ledure, esperta che lavora nel pool di Barnier –. È invece essenziale che il fenomeno della speculazione sul cibo sia portato a conoscenza dei cittadini, in modo che la società civile possa esprimere la propria opinione, altrimenti anche le istituzioni rischiano di restare prigioniere dei lobbysti del settore finanziario, che naturalmente perseguono il proprio interesse». Il quale, altrettanto naturalmente, ha poco a che vedere con quello di intere comunità, soprattutto le più vulnerabili.

© RIPRODUZIONE RISERVATA