Che ne sarà dei piccoli Comuni?

Il furore iconoclasta dei “costi della politica” sta per abbattersi sui piccoli comuni, facile bersaglio di una politica nazionale che con le sue debolezze e le sue responsabilità scarica sul pesce piccolo una batosta micidiale. Oggi corriamo il rischio di distruggere un patrimonio di buona amministrazione, disperdere il tessuto civile costituito da sindaci e amministratori, i quali godono di compensi risibili, che non sono altro che una sorta di rimborso spese per “volontari”.Per dare voce a questo disagio diffuso tra i primi cittadini di casa nostra e fare il punto della situazione, l’Associazione dei Comuni Lodigiani (ACL) ha convocato giovedì scorso un interessante convegno durante il quale si è discusso, alla presenza dell assessore regionale alla Semplificazione, Carlo Maccari, degli effetti della manovra finanziaria di Ferragosto, che impone ai comuni fino a 1000 abitanti l’obbligo di esercitare entro la fine dell’anno tutte le funzioni e i servizi attraverso convenzioni o tramite un’ unione dei comuni, con la conseguente decadenza di tutte le giunte comunali. Lo stesso capestro la legge lo impone anche ai comuni dai 1000 ai 5000 abitanti, dilatando solo i tempi di attuazione alla fine del 2012. Infine, a partire dal 2013, la manovra estende a tutti i piccoli municipi l’applicazione delle norme in materia di patto di stabilità interno, con l’effetto di ingessare bilanci già ridotti all’osso. In ore drammatiche come queste, in cui tutti sono chiamati alla massima responsabilità, nessuno vuol mettere in discussione la necessità di razionalizzare i piccoli comuni e rendere più efficienti i loro servizi, compiendo anche scelte dolorose, ma la rigida applicazione di queste norme provocherà un cambiamento disastroso, con conseguenze pesanti sulla qualità servizi resi ai cittadini, intaccando, sul lungo periodo, addirittura la stessa identità della comunità locali, che ancora oggi si riconoscono nel loro comune. Una drastica riforma così congegnata ,difficilmente attuabile e che non porterà risparmi significativi, rischia di cancellare migliaia di luoghi della politica, intesa come democrazia della comunità, soffocando quel “sindacalismo” dei territori che rappresenta una risposta positiva al bisogno di identificazione delle persone nel mondo globalizzato. Non tutti sanno che le unioni di comuni che stanno per essere imposte sono enti locali costituiti da più comuni, con un Presidente e una giunta eletta dai rappresentanti dei diversi consigli comunali. E’ facile intuire come unioni forzate, impoverirebbero la relazione di prossimità che c’è oggi tra i municipi e i cittadini, burocratizzando il rapporto tra amministratori e amministrati, togliendo ai primi la passione di impegnarsi a titolo sostanzialmente gratuito e ai secondi l’efficienza e il “calore” delle risposte della pubblica amministrazione. Non sarà più possibile incontrare il sindaco o l’assessore in piazza per la buca della strada o i loculi del cimitero, ma ci si dovrà rivolgere al presidente dell’unione, magari a 20-30 chilometri da casa. Un presidente, a cui la legge assegna assieme alla Giunta un’ampia autorità decisionale, che dovrà amministrare una comunità di almeno 10 mila abitanti! Un presidente burocrate che non sarà neppure sottoposto al giudizio diretto degli elettori, ma eletto dai consigli comunali, nominato, in molti casi, nell’opacità di accordi tra questa e quella fazione. I poveri sindaci al cospetto di questo plenipotenziario vedrebbero di fatto mortificato il loro ruolo. Poi, nel caso della Lombardia, la perentorietà della legge nazionale vanificherebbe la politica della Regione che da anni premia i comuni che su base volontaria si mettono insieme per erogare servizi: 50 milioni di euro di contributi distribuiti ai circa 300 comuni che si sono messi insieme sarebbero stati buttati via. Che fare? Come attenuare i danni di un disastro annunciato? In primis vanno salvaguardate le Unioni esistenti, frutto di accordi volontari, avviando da subito un confronto per individuare gli ambiti ottimali e omogenei di svolgimento delle funzioni dei comuni in Lombardia. Va almeno dimezzata la soglia dei 10 mila abitanti e vanno altresì definiti bacini demografici flessibili: la montagna non è uguale alla pianura. Regione Lombardia deve reclamare a gran voce la convocazione della Conferenza unificata (Stato, Regioni, enti locali) perché sia ritoccata la normativa per quanto riguarda la continuità territoriale delle unioni di comuni, la decadenza automatica delle attuali giunte, l’applicazione del patto di stabilità ai piccoli municipi. Infine, la legge potrà anche essere impugnata davanti alla Corte Costituzionale perché il Governo entra a gamba a tesa nelle materie di competenza regionale. L’Italia è il paese delle 100 città ma anche degli 8000 borghi, snaturare questo tessuto in modo violento è uno schiaffo alla nostra identità e un suicidio politico democratico che non possiamo permetterci, soprattutto in tempi difficili come questi.

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