Che fare per i servizi alla persona?

Provo a dare il mio contributo al dibattito ospitato da «Il Cittadino» nelle ultime settimane sul tema della manovra economica del Governo soprattutto per quanto riguarda le ricadute sul sistema delle autonomie locali (comuni, provincie e regioni) e sulla futura sostenibilità dei servizi da erogare ai cittadini, in particolare i servizi sociali. Propongo qualche riflessione per ciascuno dei due ambiti.

Primo. Con l’attuale manovra economica il Governo fa ancora una volta una scelta basata esclusivamente sui tagli dei trasferimenti e cioè delle risorse economiche che servono per dare servizi ai cittadini, senza che nessuna attenzione venga posta a un progetto di riorganizzazione delle autonomie locali. Perché il Governo non mette seriamente mano alla Carta delle Autonomie Locali, per la quale ha ricevuto una delega dal Parlamento? Questo dovrebbe essere il punto sul quale far convergere il dibattito politico – anche con il contributo dei partiti di opposizione – per attualizzare un sistema che certamente ha bisogno di una revisione. E’ venuto a mio parere il momento di riscrivere il patto sociale attorno al tema del “chi fa che cosa e con quali risorse” tra i livelli centrali e quelli locali dello stato, avendo anche il coraggio di qualche scelta strategica, come il ridimensionamento di funzioni ridondanti e doppie: per esempio perché lasciare duplicate le funzioni delle provincie nel campo sociale e culturale rispetto a regioni e comuni? E perché non rafforzare invece le funzioni di coordinamento delle provincie in campo ambientale ed urbanistico? Si sta invece percorrendo la strada, come avviene ormai da decenni, di interventi tampone che hanno come unico obiettivo il galleggiamento. Credo che il galleggiamento come stile di governo sia anche alla base del diffuso sentimento antipolitico presente oggi in larghi strati della cittadinanza: la politica non è più capace di dare speranza perché non è più capace di progettare il futuro e quindi crea disaffezione. E’ affetta da una sorta di male da “pensiero debole”, che fa segnare il passo rispetto alla capacità di dare risposte ai problemi della gente. E il problema principale della gente oggi (al di là dei tanti problemi contingenti) è quello di non riuscire più a credere nelle istituzioni, perché le istituzioni sono vecchie e inefficienti. Serve allora uno slancio politico dal basso: va rifondata la “polis”, la città-comunità nella quale viviamo e lavoriamo, ai vari livelli, dal comune allo Stato centrale. Questo il campo da seminare, nel cui dissodamento dovremmo impegnarci tutti anche qui nel Lodigiano, anche a partire dai livelli locali più bassi. Perché non costituire un Comitato lodigiano per la riforma delle autonomie locali, che sappia fare da apripista ad una riflessione sistemica sul tema, a partire dai tanti ragionamenti già in campo? (Penso per esempio all’importante lavoro già fatto dagli Stati Generali).

Secondo. Se non saranno introdotte ulteriori modifiche, la manovra economica del Governo si abbatterà sugli enti locali per qualcosa come 30 miliardi di euro da qui al 2014. Quale sarà l’impatto sui servizi da erogare ai cittadini e in particolare sui servizi sociali? Per esempio, riusciranno i comuni lodigiani a mantenere in vita l’esperienza del Consorzio Lodigiano per i Servizi alla Persona, che dal 2006 a oggi ha reso diffusi e omogenei i servizi erogati ai cittadini del nostro territorio senza sostanziali differenze tra chi abita a Lodi, a Casalpusterlengo o a Sant’Angelo e chi abita a Caselle Lurani, riuscendo anche a rendere virtuosa la spesa? Nel 2006, anno di avvio del Consorzio, i costi per l’erogazione dei servizi sociali (rete degli assistenti sociali, tutela dei minori, assistenza agli anziani e ai disabili, supporto alle famiglie) era per circa il 60% a carico dei comuni e per il 40% a carico dello Stato e della regione Lombardia. Oggi i comuni sono arrivati oltre l’85% e lo hanno fatto con la consapevolezza e la motivazione che l’impegno amministrativo nel sociale è importante e viene prima di altri interventi. Ma se dovranno arrivare nei prossimi anni al 100% e i loro bilanci saranno contemporaneamente impoveriti per il taglio dei trasferimenti, come potranno mantenere alto il loro impegno?

Non solo, c’è un altro e forse più terribile rischio in vista: quando mancano le risorse si diventa istintivamente egoisti e individualisti. Già stanno emergendo alcuni segnali per cui si paventa la possibilità che qualche comune torni a stare da solo, perché stare con gli altri è percepito come difficile e troppo oneroso, mentre stando da soli si può anche scegliere un profilo più basso per il proprio intervento, risparmiando. Se la crisi produrrà questo effetto sulle nostre comunità locali avrà prodotto uno sconquasso e un arretramento della nostra esperienza amministrativa ben più gravi di quello economico. Serve un impegno diffuso perché ciò non avvenga.

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