C’è anche un’Italia invisibile

È un’Italia invisibile, sottratta alla responsabilità della politica e celata al palcoscenico dei grandi media, quella che emerge dalle ricerche presentate in questi giorni dalla Fondazione Cesare Serono e dal Censis. Un ritratto della “dimensione nascosta delle disabilità” che vede protagoniste, in particolare, le persone affette da sclerosi multipla o autismo e le loro famiglie. Famiglie lasciate completamente sole nel 38,1% dei casi, con un’assistenza informale quotidiana demandata all’accudimento esclusivo dei familiari conviventi, che chiedono un impegno maggiore nel rafforzamento dei servizi socio-assistenziali e un potenziamento degli aiuti economici o degli sgravi fiscali concessi alle persone con disabilità.La linea di tendenza che sembra prevalere in questi ultimi anni è però di segno inverso. Nel 2010 l’Inps ha avviato una mastodontica campagna di verifica delle pensioni d’invalidità annunciando, nel mese di marzo dell’anno seguente, la revoca del 23% degli assegni. Una cifra certamente significativa se non fosse stata contraddetta, numeri alla mano, dall’allora ministro del Lavoro e delle Politiche sociali che, rispondendo a un’interpellanza parlamentare, certificò la percentuale di non conformità: su circa 100.000 controlli effettuati, soltanto nel 10,2% dei casi si era proceduto alla sospensione della pensione. Percentuale addirittura inferiore di un punto e mezzo rispetto all’anno precedente. Tuttavia, l’attenzione mediatica suscitata dallo straordinario e costoso piano di verifica aveva colpito nel segno inaugurando una stagione inedita di caccia al “falso invalido” i cui risultati sono tuttora ben visibili. Sui reali bisogni delle persone con disabilità e sulle esigenze vissute da quelle famiglie che ogni giorno si affannano in solitudine per fare fronte a situazioni spesso drammatiche è calata invece una cortina fumogena sempre più fitta che ha messo a tacere la necessità di un dibattito serio e urgente per aggiornare il tema delle politiche sociali. A partire dalla definizione di quei Livelli essenziali di assistenza (Lea) che da troppo tempo non trovano il giusto spazio nell’agenda di governo contribuendo ad aggravare, ancora oggi, le differenze tra Nord e Sud del Paese.Sul fronte degli interventi normativi la manovra “Salva Italia” prevede, tra i nuovi criteri di calcolo e di applicazione dell’Isee (Indicatore della situazione economica equivalente), la possibilità d’introdurre soglie di reddito oltre le quali non possano essere più concesse “provvidenze di natura assistenziale”. Tra queste rischierebbe di essere compromessa l’indennità di accompagnamento, unica forma di reale sostegno economico finora concessa indipendentemente dalle condizioni economiche. Un decreto attuativo, entro la fine di maggio, stabilirà la regolamentazione del nuovo Isee. Se le cose andassero nella direzione paventata verrebbe così a scomparire la sola forma diretta di supporto che lo Stato riconosce alle persone con disabilità grave, in una sorta d’implicita contropartita per i disagi e i disservizi causati da una mancanza strutturale del Paese. E si tornerebbe indietro di molti anni, rispolverando l’idea di un welfare che abbia il compito di assistere gli indigenti e non sia invece il baluardo del diritto di cittadinanza esigibile da tutti coloro che vivono una condizione di difficoltà. Piuttosto, in linea con quanto accade anche in altri Paesi d’Europa, si potrebbe formulare l’ipotesi di un sostegno economico che non sia uguale per tutti, come oggi avviene in Italia, ma graduato in base al reale bisogno della persona. Sarebbe un modo per superare l’attuale disequità di prestazioni, che non tengono conto delle differenti disabilità, e rilanciare l’idea di un Paese capace di rispondere ai bisogni di tutti i suoi cittadini.

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